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C'è ancora un'Europa, a Berlino

L’Italia ancora non ha un Museo del Fascismo. Forse per quello non è in grado di riconoscerlo neppure quando se lo ritrova davanti. 

La Germania, invece, di musei del Nazismo ne possiede forse un centinaio, dallo Stelenfeld di Berlino fino ai campi di sterminio trasformati in memoriali e quotidianamente visitati da migliaia di scolaresche. 

I semi del rinascente regime la Germania è dunque in grado di riconoscerli a prima vista. Come da qualche settimana va ordinatamente mostrando nelle vie e nelle piazze delle maggiori città.

Il partito neonazista «AfD» («Alternative für Deutschland») è in forte crescita principalmente nei Länder dell’ex Germania Orientale, dove l'esteso e labile confine non riesce a contenere la pressione di un’immigrazione irregolare di fatto impadronitasi di intere città, svuotatesi con la fine dell'età industriale. 

Ma negli Stati dell’Ovest, dove più vivo è il ricordo della disfatta hitleriana, le strade cittadine sono percorse da una marea di manifestanti mai così pacifici, da Berlino fino a Monaco di Baviera, che han visto ordinatamente sfilare per strada centinaia di migliaia di persone. Ieri a München 200.000 manifestanti, secondo le forze dell’ordine – 320.000, per i promotori – laddove non ne erano attesi più di 75.000. 

Le notizie sono due. 

La prima è che se è vero che ovunque nel mondo vanno affermandosi uomini di guerra, dagli USA al Sudamerica, dalla Cina alla Russia (senza scordare i più retrogradi tra i Paesi europei), avanzano nelle piazze anche gli uomini di pace. Tanti. E si distinguono dagli uomini di guerra perché manifestano senza spaccare vetrine, senza saccheggiare supermercati o negozi, senza ricoprire di scritte e tatuaggi le piazze e i monumenti delle città, senza scontrarsi con la polizia. 

Sono un primo importante segnale di resistenza e la concreta speranza di un futuro più attento a costruire che non a distruggere.

La seconda notizia è che il sogno europeo non è morto. Anzi, è più vivo che mai. Ormai maturo per una svolta esiziale che appare ogni giorno sempre più imminente e obbligata: quella di dar vita ad un vero Stato Federale Europeo. Quella Quarta Europa da farsi con chi ci sta, primo nucleo di un’entità statale che abbia una propria Costituzione, un vero Parlamento ed un vero Governo, con pieni poteri legislativi, esecutivi e giudiziari nelle materie di interesse comune. 

Un condominio, per esser chiari. Che si occupi fattivamente delle parti comuni dell’edificio (deliberando a maggioranza) e non un circolo del golf dove i membri pagano una quota giusto per poter disporre di un campo comune sul quale giocare, ma privi del potere di imporre qualsiasi disposizione che vada oltre le norme del regolamento interno: scarpette, mazze, comportamento in campo, turni e orari di gioco...

Chi pensava (e pensa) che una Germania sofferente (prima per la fine dell’età industriale, poi per i rubinetti chiusi del gas russo) fosse ormai perduta alla causa, ora deve ricredersi. Così come chi ha scommesso sull’instabilità della Francia, che resta il Paese che ha insegnato la liberaldemocrazia al mondo. O sulle malcelate furbizie dell’inaffidabile Italia, momentaneamente al servizio di un manipolo di neofascisti privi di camicia nera, ma cintura nera di arrogantissima ignoranza.

Di uno Stato Federale Europeo mai come oggi son chiare e visibili tanto la necessità che l’urgenza, animate dalla volontà di pochi e dalla speranza di tanti. 

Mancano uomini che sappiano dar corpo all’idea, è vero. Ma non potrebbe essere altrimenti. In un’istituzione assolutamente priva di poteri, qual è l’Unione Europea, nessuno dei rappresentanti dispone degli strumenti necessari per cambiare le cose. 

Le sole parole chiare non possono dunque giungere che dall’esterno. Non certo dall’interno. E sono quelle dei Draghi, dei Mattarella, degli analisti più attenti. 

Le Unioni sono in crisi ovunque, a cominciare dall’ONU, ed anche gli Stati Federali sono per la prima volta sotto attacco, come dimostrano l’attuale crisi USA, o gli Stati canadesi e messicani apertamente minacciati, o quelli argentini in mano ad un folle conclamato. Figuriamoci quanto potrebbe reggere una marmellata di piccoli Stati, i soli rimasti ciascuno per se stesso, in questo primo scorcio di millennio. In un ribollire di venti di guerra sotto i colpi dei quali il ruolo di un’Europa divisa, priva di poteri e sostanzialmente disarmata rischia di essere non quello del vincitore o dello sconfitto, ma quello del bottino da spartirsi. 

Vetrina spaccata di un’antica e lussuosa gioielleria che in troppi ambirebbero svuotare.  

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