Chi piange la fine di tanti innocenti sotto le macerie della città di Gaza, dovrebbe anche meditare su quali strumenti possano oggi consentire a chi attacca di discernere i civili dagli incivili. In una vera guerra fra Stati, esistono le insegne, le uniformi, le divise: gli stendardi e gli elmi piumati degli antichi eserciti, un simbolo sulla coda di un aereo, una mostrina sul petto, la bandiera a poppa della nave. Persino i popoli primitivi, quando combattevano nudi, usavano dipingersi il corpo, o gli scudi, per distinguersi dal nemico. E anche un incontro sportivo tra professionisti non sarebbe che una partitella fra amici, se le squadre avverse non indossassero ciascuna i propri colori. Finanche i capi di Stato, ultimo Zelensky, vestono abiti consoni quando il Paese è in guerra. Solo i vigliacchi e le spie, usi a colpire di nascosto e a tradimento, evitano con cura di mostrare alcun segno distintivo. Come i mercenari in Crimea nel 2014, privi di alcuna insegna e spacciati per «r
423 anni dopo il primo arrivo in Paradiso, confinato su una nuvola periferica al numero 22.676, ho finalmente conquistato le ali di angelo di terza categoria, col diritto ad alloggiare nella più signorile Nuvola 37. Ed è da qui che vi scrivo, per ringraziare l'umanità che con le sue eterne stupidaggini allieta le giornate di noi alati. Senza di voi, non avremmo che noia eterna. Grazie a voi, invece, non mancano occasioni per ridere, arrabbiarci, sbeffeggiarvi. In una parola: per vivere.