A voler parlar sinceramente, una vera Difesa Europea non esiste. Esistono eserciti nazionali, mal coordinati ed in diversa misura armati. Forse capaci di distinguersi in circoscritte missioni di pace o di ordine pubblico, ma non certo in grado di rispondere in modo efficace alle crescenti minacce di una o più grandi potenze nucleari.
Come di fatto in questi giorni avviene.
Esiste una NATO, certo: un’alleanza difensiva sovraeuropea mostratasi in grado di proteggere il continente per un tempo fin troppo lungo. Tempo forse prossimo alla scadenza, se le prossime presidenziali USA non daranno il risultato sperato e le tentazioni di un disimpegno americano dovessero protrarsi, se non accentuarsi.
Serve dunque un esercito comune europeo, come da più parti un crescente numero di autorevoli voci non manca di auspicare e rimarcare. E serve subito.
Ma un esercito comune presuppone una linea di comando comune, che a sua volta richiede una politica di difesa comune, orientata da una politica estera comune, che comporta infine la guida condivisa di un organismo statuale comune, con poteri legislativi, esecutivi e giudiziari in materia di difesa. Di uno Stato Confederale Europeo, in breve, che al momento non esiste e che nessuno sembra ansioso di voler costruire.
Certo, a leggere i giornali e a guardar la televisione, la magica parola «Europa» evoca alle orecchie dei più – nel bene e nel male – l’esistenza di uno Stato, piuttosto che di un insieme di trattati, cresciuti nel tempo, che regolano i rapporti tra un determinato numero di nazioni confinanti: quale in realtà l’Unione Europea oggi è.
Non esiste in realtà in questo mondo un’entità politica che possa esser definita «Europa»: esiste giusto un’area geografica che, grazie a quei trattati e alla protezione dell’ombrello militare NATO, ha vissuto per ottant’anni una lunghissima stagione di pace. E vorrebbe continuare a viverla. Difendendosi da un numero crescente di sempre più minacciosi, potenti e sanguinari nemici.
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Sulla base dei trattati che ne hanno determinato la nascita, non esiste oggi una sola «Europa»: ne esistono almeno tre: l’Unione Europea, che coordina con le sue direttive l’azione di 27 Stati sovrani del continente; l’Eurozona, che consente a 20 Stati sovrani (oltre alle colonie francesi e ai microstati europei) di utilizzare una moneta comune: l’Euro; la Zona Schengen, che regola i confini e le modalità di attraversamento di 26 Stati (22 appartenenti all’Unione Europea e 4 extraeuropei).
Tre Europe, dunque, regolate da trattati differenti, istituzioni differenti, norme differenti. Alle quali ciascuno Stato è libero di aderire o meno senza che, per questo, la partecipazione all’una impedisca l’adesione all’altra.
Perché dunque non immaginare una Quarta Europa, ossia un vero Stato Confederale Europeo che nasca e viva accanto (e non necessariamente in-vece) alle attuali Unione Europea, Eurozona e Zona Schengen?
Quello Stato Confederale che i padri fondatori indicarono come l’obiettivo finale di un lungo, complesso e faticoso processo di unificazione, spinto oggi dall’urgenza di dar vita a una difesa comune potrebbe intanto assumer la forma di un quarto binario parallelo sul quale ciascun Paese possa liberamente scegliere se correre o meno: primo nucleo di un vero e proprio Stato dotato di pieni poteri nelle materie di interesse comune: politica estera, economia, istruzione, difesa, nonché di un sistema decisionale democratico (a maggioranza, anziché all’unanimità).
I vantaggi supererebbero di gran lunga gli inevitabili svantaggi.
A fronte di un limitato trasferimento di poteri, certo più semplice per gli Stati membri repubblicani che non per quelli monarchici, la nuova entità politica darebbe finalmente all’Europa una voce unitaria capace di farsi ascoltare nel mondo e dialogare da pari a pari con i propri interlocutori.
Sul piano economico, grazie a una fiscalità più equa e a politiche economiche condivise, imporrebbe ancor più sui mercati la già ragguardevole forza dell’Euro.
Sul fronte della difesa (quel che più preme) uniformerebbe e coordinerebbe gli eserciti, risparmierebbe su produzione e approvvigionamento di armi e munizioni, supererebbe le limitazioni dei trattati postbellici, istituirebbe una sola linea di comando con obiettivi chiari condivisi, avrebbe maggior voce all’interno della NATO.
La sola possibile alternativa ad una Quarta Europa consisterebbe nell’attendere pazientemente che il lento e macchinoso processo di unificazione dell’attuale Unione Europea giunga infine al termine: che tutti gli Stati membri riescano a darsi una moneta comune, confini comuni ed un’organizzazione statuale che preveda istituzioni dotate di veri poteri.
Ma il carburante dell’attesa è il tempo, e il tempo comincia a scarseggiare.
Gli Stati europei han sin qui saputo utilizzare al meglio il lungo periodo di pace che la Storia ha inaspettatamente regalato loro. Mostrino adesso di saper fare un uso ancor migliore del poco tempo che la Storia – non si sa per quanto – sembra aver loro ulteriormente concesso.
L’augurio è che le forze politiche europee, ormai prossime al decisivo voto di Giugno, colgano quell’occasione per avviare un approfondito dibattito sullo stato dell’Unione e sulle sue prospettive immediate e future. Evitando di ridurlo, come più volte accaduto in passato, ad un vano quanto inutile referendum sullo stato di salute di quei troppi partiti e movimenti che agitano i minuscoli cortili di quelle ventisette (politicamente) minuscole nazioni.
Se ancora – fortunatamente – non è tempo di combattere, è comunque tempo di decidere e di parlare.
Possibilmente con una sola autorevole voce.
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