C’era una volta la vergogna. Quello strano sentimento grazie al quale un animo onesto e sensibile – temendo la disapprovazione di quanti gli stanno più a cuore di fronte ad un suo volontario quanto involontario possibile errore – prova egli per primo una sorta di ripugnanza verso se stesso e sente impellente il bisogno di andarsi a nascondere. Di lasciare per un istante il palcoscenico per andarsi a rinchiudere in bagno. E lì piangere sui propri sbagli. Se non sulle proprie colpe. Ebbene: provare vergogna è proprio dei grandi uomini. Perché rappresenta la misura della considerazione che una persona riserva a coloro che gli stanno accanto. La disapprovazione dei quali suscita in lui dolore. Un dolore che Iddio ha per di più voluto che si manifestasse pubblicamente attraverso il rossore del viso. Un dono riservato agli esseri umani, negato agli animali. Che la vergogna sia un sentimento positivo, lo dimostra il fatto che il suo contrario – l’essere senza vergogna, uno svergognato – non
423 anni dopo il primo arrivo in Paradiso, confinato su una nuvola periferica al numero 22.676, ho finalmente conquistato le ali di angelo di terza categoria, col diritto ad alloggiare nella più signorile Nuvola 37. Ed è da qui che vi scrivo, per ringraziare l'umanità che con le sue eterne stupidaggini allieta le giornate di noi alati. Senza di voi, non avremmo che noia eterna. Grazie a voi, invece, non mancano occasioni per ridere, arrabbiarci, sbeffeggiarvi. In una parola: per vivere.