«L’estate sta finendo: un anno se ne va», intonavano i Righeira nel paleozoico 1985. E con l’estate, per la gioia di chi nel luogo dov’è nato pretenderebbe viverci, si ritira quell’informe marea da stadio che i meno attenti insistono nel voler chiamare turismo . Overtourism , è il neologismo che ha istantaneamente riempito le pagine dei quotidiani estivi, assetati di gossip quanto avari di notizie. Intendendo con l’esotico termine un eccesso di presenze in quelle località che da sempre attraggono un gran numero di visitatori (con disdicevoli effetti collaterali quali vandalismi, aumento dei costi abitativi, immondizia e degrado, tsunami di folle urlanti nei centri storici, generale disordine). L’elegante parola, overtourism , presenta tuttavia un’evidente fallacia: pone l’accento solo sulla quantità delle presenze, laddove la principale questione è piuttosto la loro qualità . Forse il termine shit-tourism potrebbe meglio definire il fenomeno: milioni di persone che sbarcano da a
423 anni dopo il primo arrivo in Paradiso, confinato su una nuvola periferica al numero 22.676, ho finalmente conquistato le ali di angelo di terza categoria, col diritto ad alloggiare nella più signorile Nuvola 37. Ed è da qui che vi scrivo, per ringraziare l'umanità che con le sue eterne stupidaggini allieta le giornate di noi alati. Senza di voi, non avremmo che noia eterna. Grazie a voi, invece, non mancano occasioni per ridere, arrabbiarci, sbeffeggiarvi. In una parola: per vivere.