Quasi commuove il disperato tentativo del fu piddì, accodato ai sansepolcristi a cinque zampe, di riaccendere gli animi di una sconsolata opposizione imbracciando la novecentesca bandiera del «salario minimo», conseguente evoluzione di più antiche lotte contro l’aumento del prezzo del gettone telefonico e la progressiva scomparsa delle cassette postali. Quelle sì, rosse. A differenza del tardocattolicesimo piddino e del protofascismo grillino. Se avessero invece chiesto e preteso, sfidando il fermo no dei sindacati dei pensionati, una «retribuzione minima» a vantaggio di chiunque lavori alle dipendenze di qualcun altro, nessuna battaglia sarebbe stata più giusta e più sacra. Ma come si può pensare di sollevare una nazione a difesa di un «salario» che nessun lavoratore in Italia percepisce più, sostituito ovunque dallo stipendio? In un tempo fortunatamente lontano, il «salario» costituiva la paga dei lavoratori a ore. Agli albori dell’età industriale fu la retribuzione tipica degli ope
423 anni dopo il primo arrivo in Paradiso, confinato su una nuvola periferica al numero 22.676, ho finalmente conquistato le ali di angelo di terza categoria, col diritto ad alloggiare nella più signorile Nuvola 37. Ed è da qui che vi scrivo, per ringraziare l'umanità che con le sue eterne stupidaggini allieta le giornate di noi alati. Senza di voi, non avremmo che noia eterna. Grazie a voi, invece, non mancano occasioni per ridere, arrabbiarci, sbeffeggiarvi. In una parola: per vivere.