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Visualizzazione dei post da ottobre 2, 2022

Viva la fuga!

I cinquegrilli scoprono l’«equidistanza»: né con la Russia, né con l’Ucraina. E lanciano l’idea di una grande marcia «per la pace», pensata sul modello delle grandi processioni medievali contro la peste, la siccità, le carestie, le cavallette, il colera. Nella ferma convinzione che la pubblica autofustigazione, unitamente ai canti, alle preghiere e alle alte grida, non potrebbe non restituire automaticamente pace e prosperità al mondo intero. Con una sostanziale differenza, rispetto ai più convinti penitenti dell’età oscura: un conto era il chieder perdono ai Cieli affinché lenissero quelle che si pensava esser punizioni di provenienza divina; un altro è implorare clemenza ad un crudele assassino dai cui colpi le vittime cercan soccorso, così da potersene in qualche modo difendere.  Un Dio merita certamente ogni supplica o preghiera. Un assassino no. Fingere di non comprenderlo si chiama vigliaccheria: degna di chi si è sempre dichiarato «né di destra, né di sinistra» e che, evitando a

Ministro del Purchessia

Ricorda un po’ quegli emigranti clandestini pronti a tutto pur di guadagnarsi un posto asciutto sulla zattera, il variopinto Salvini in versione trottolone che rallegra in questi giorni le prime pagine dei giornali. Uno Zelig pronto ad assumer le sembianze di qualsiasi specie vivente, dal Palazzoico Inferiore in poi, purché di razza ministeriale.  Preferibilmente agli Interni, ma anche alla Difesa, o all’Istruzione, o agli Esteri. Oppure al Lavoro, ma anche all’Agricoltura, incicciata se possibile con le deleghe al Commercio Estero: magari con quegli amici che il Nostro ancora conserva nelle steppe tra il Don e il Volga. È convinto di averne diritto. Non certo perché abbia vinto, ma perché ha perso meno del temuto. E batte cassa e grancassa pretendendo conseguente sistemazione per sé e per i suoi. Il petto se lo gonfia da solo, avendoglielo preventivamente sgonfiato gli elettori: dal 17,5% del 2018 all’ 8,78% del 2022, passando per il luminoso 34% delle europee (2019). Ma la magia del

Armi di scena

«Se nel primo atto di un dramma c'è un fucile appeso al muro, nel secondo o terzo atto quel fucile sparerà». Lo disse Anton Pavlovič Čechov, celebre drammaturgo russo nato nel 1860 a Rostov, proprio al confine con l'attualmente contesa regione ucraina del Donetsk.  Figuratevi la faccia del buon Anton, oggi nostro gradito ospite a Nuvolandia, quando quel fucile l’ha visto comparire improvvisamente sulla scena sotto forma di missile nucleare, appiccato al muro da Putin e più volte illuminato dai riflettori puntati ora dal ministro degli Esteri Sergej Viktorovič Lavrov, ora dal capo del governo russo Dmitrij Anatol'evič Medvedev, ora dal macellaio ceceno Ramzan Kadyrov.  La cosa sarebbe da ridere, vista la manifesta inettitudine bellica dei capicosca di Santa Madre Russia, capaci di sferrare coraggiosi attacchi giusto su Croce Rossa, scuole d’infanzia, ospedali e auto di civili in fuga, se non fosse per il fatto che dalle urne farlocche fatte di vetro, così da poter meglio ori

Unità e Rinascita

Brutto risveglio per i piddini schiaffeggiati nelle urne. Pensavano d’esser nani sulle spalle dei giganti, alla maniera di Bernard de Chartres, ma non erano che nani sulle palle della gente. La loro gente.  La prima reazione in casa piddì è stata l’avvio del cantiere congressuale. Fortemente voluto dall’occhiuta quanto malungulata tigre, disposta peraltro a farsi signorilmente da parte.  La seconda, come da tradizione di partito, è stata la singolare idea di mutar nome e bandiera. Nuovi battesimi in cerca di nuove verginità. Come da copione l’assalto al trono dei numerosi e non sempre degni pretendenti, ciascuno col proprio ricettario medico: chi propone iniezioni di demagogia cercando conforto tra le braccia dei cinquereduci, in piena decrescita felice; chi invece consiglia compresse calendiane, all’aroma di liberalismo, dagli incerti effetti collaterali renziani: rasserenanti per alcuni, conturbanti per altri.  Nato locomotiva, come la gloriosa H2-293 che riportò Lenin in patria sca