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Visualizzazione dei post da settembre 18, 2022

Homemade War

L’ambasciata russa in Italia, un tempo adusa ad esprimersi con vellutate parole e compiacenti sorrisi di austeri diplomatici in feluca, marsina e spadino, ha scelto ancora una volta di affidare a Facebook le proprie comunicazioni ufficiali, intervenendo a gamba tesa sull’imminente scadenza elettorale con una sequenza fotografica che mostra il morituro Putin posare scherzosamente coi principali leader politici italiani. Vecchie foto, ampiamente giustificate dai passati ruoli istituzionali dei personaggi coinvolti, epperò condite da minacciosi sottintesi di gusto ricattatorio, degni di un insoddisfatto hater quattordicenne a corto di alcol.  Se è questo il linguaggio diplomatico dei Russi, verrebbe da pensare, figuriamoci quello da taverna. Per non parlar della caserma.  Giusto per non lasciar spazio all’immaginazione, un pronto esempio di quell’aulico idioma giunge quasi immediatamente dalle sprezzanti labbra dell’aiuto gorilla Lavrov, che di quella diplomazia sta a capo. Con un breve

Mele bacate

Putin contro resto del mondo. Secondo tempo. Costretto all’angolo dalla lepre ucraina, l’orso russo reagisce scompostamente e annuncia con un discorso alla Nazione una significativa escalation nell’occupazione militare del Paese confinante, mobilitando trecentomila riservisti per «difendere la Russia dal ricatto nucleare dell’Occidente».  Il quale Occidente a tutto pensa meno che a sprecare prezioso uranio per far del male a chi il male ha già ampiamente dimostrato di saperselo fare da sé.  Forse offeso per il mancato invito alle onoranze funebri della casa regnante inglese, il folle dittatore conta di rifarsi seppellendo 300.000 giovani russi. Che andranno ad aggiungersi agli altri 55.000 uccisi finora non soltanto dai colpi della resistenza ucraina, ma anche – e soprattutto – dalla fame. Mandati a morire senza cibo sufficiente né adeguato equipaggiamento.  La nuova provocazione è ben congegnata: dopo aver etichettato come territorio russo le provincie annesse con un referendum farloc

Fermi alla meta

Quando un gruppo di passeggeri costringe il pullman su cui viaggia a fermarsi e invita l’autista a scendere, le ragioni non possono esser che due: 1) l’autista, vuoi per manifesta incapacità, vuoi per aver bevuto o assunto altre sostanze, non è più in grado di condurre il pesante mezzo; 2) il pullman è diretto verso una destinazione differente da quella che i viaggiatori ribelli preferirebbero invece raggiungere.  Parlando del pullman Italia, costretto a fermarsi per via dell’ammutinamento di un folto gruppo di passeggeri saliti a bordo con biglietto scontato, ai quali se ne son presto aggiunti altri usi a viaggiare senza neppure pagarlo, nessuno potrebbe onestamente accusare l’autista Draghi di non saper guidare: sia per la lunga esperienza, sia perché il mezzo viaggiava comunque spedito e sicuro verso la sua meta.  Non resta dunque che la seconda possibile spiegazione: la destinazione verso cui il pullman Italia era diretto non riscontrava il gradimento di una parte dei passeggeri. 

Profumo di pace

Esistono due soli modi di impadronirsi del denaro altrui: quello del mercante, che ricorre all’astuzia, e quello del criminale, che si affida alla forza.  Il primo raggiunge il proprio scopo accondiscendendo con gentilezza a chiunque, se necessario anche ai peggiori nemici. Il secondo persegue il proprio fine ostentando ovunque la propria ferocia, persino con i migliori amici.  Due opposti atteggiamenti la cui distanza è plasticamente emersa al recente vertice di Samarcanda, che ha visto riuniti al medesimo stesso tavolo i rappresentanti di Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, con la presenza a margine di numerosi osservatori di altri Paesi dell’area.  Protagonisti da un lato un Xi Jimping mercante che non lesina sorrisi a Putin promettendogli con una mano eterna amicizia e negando con l’altra l’invio di armi ed ogni altro sostegno attivo, dal lato opposto un Putin ridimensionato ma proprio per ciò fermamente intenzionato a non cedere.  La sua guerra la Cina