Mentre serviva in tavola il piatto bell’e cucinato di una sedicente pace in Ucraina, senza svelarne gli ingredienti ma giusto il nome dei cuochi (i rappacificati amanti Trump e Putin), riservando a Zelensky il più umile ruolo di condimento, J.D.Vance ha puntato il dito contro l’Unione accusandola di essersi «ritirata da alcuni dei suoi valori fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America». Quasi fosse stata l’Unione a deviare dalla propria rotta, nelle ultime settimane, e non – com’è sotto gli stralunati occhi di tutti – gli USA di Donald Trump.
Per sostanziare tale premessa, già errata in partenza, Vance ha condannato con veemenza l’annullamento del risultato elettorale in Romania (manifestamente truccato dai servizi russi e cassato dai Tribunali rumeni), esprimendo il timore che qualcosa di simile possa accadere nelle prossime votazioni in Germania, se sgradite, etichettando il tutto come una negazione di quei valori democratici che il padrone di Vance ha invece creduto di poter meglio regolare con le armi, solo quattro anni fa, in occasione dell’ingiustificabile assalto (con morti e feriti) al Congresso americano. Luminoso esempio di «nuova democrazia».
Alternando la condanna dell’Unione con altre rivolte ai singoli Stati membri, come la Svezia (colpevole di aver perseguito – secondo la legge – un provocatore che incendiò in piazza una copia del Corano), Vance ha quindi rivolto i suoi strali in direzione di quel Paese (extraeuropeo) al quale gli USA hanno già di fatto dichiarato apertamente guerra: quella Gran Bretagna che tra i propri reami include anche il Canada: secondo Paese più grande al mondo dopo la Russia. All’albionico Impero, Vance rimprovera di aver multato un antiabortista perché manifestava pubblicamente a meno di duecento metri (contro la legge) da una clinica ospedaliera.
Ma Vance tocca il fondo quando rimprovera ai media europei d’aver messo a tacere quei no-vax americani che accusavano la Cina di aver deliberatamente diffuso l’epidemia Covid, ed auspica la fine di ogni genere di censura sul web. Confondendo, come usa tra i neofascisti (destra rivoluzionaria anziché conservatrice), i princìpi di libertà con la più totale e permissiva sregolatezza.
Vance si schiera quindi apertamente accanto a quella Russia che ha maldestramente manomesso le elezioni in Romania, tacciando di «debolezza» gli Stati dell’Unione, se è vero che è bastato tanto poco per alterare dall’esterno un importante risultato elettorale.
A partire da quel fatto, Vance si inoltra in un richiamo (in gran parte condivisibile) circa il dovere e l’urgenza dei Paesi europei di raggiungere quanto prima una maggiore coesione ed unità d’intenti nell’assumersi più ampie responsabilità circa il futuro del proprio Continente, e pone al primo posto tra le questioni dell’Unione quella dell’immigrazione incontrollata, che fa sì che una persona su cinque, in Europa, provenga dall’estero.
Per vincere ancor più facile, Vance non rinuncia a calcar la mano sul vile attentato che ha insanguinato Monaco il giorno precedente la Conferenza: «Nessun elettore di questo continente è andato alle urne per aprire le porte a milioni di immigrati non controllati, ma sapete per cosa hanno votato. In Inghilterra hanno votato per la Brexit e, che siate d’accordo o meno, l’hanno votata. E sempre più in tutta Europa stanno votando per leader politici che hanno promesso di por fine alla migrazione fuori controllo». Spianando con tali parole la via del governo al partito neonazista tedesco che, non a caso, subito dopo la Conferenza si è premurato di incontrare ufficialmente.
Il finale del discorso è un inno al più sfrenato populismo: «Credere nella democrazia significa capire che ogni cittadino ha la propria saggezza e la propria voce». Ed ancora: «Non dovremmo avere paura del nostro popolo, anche quando esprime opinioni in disaccordo con la propria leadership».
Tralasciando il fatto che l’Unione non è fatta soltanto di cittadini ma anche di sudditi (poco meno di un quarto degli Stati membri sono monarchie) la saggezza di un Stato non è la somma delle «saggezze» di chi si reca alle urne. Per l’elettore è saggio non pagare le tasse, per lo Stato no. È saggio tentar di scavalcare chi gli sta accanto, per lo Stato no. È saggio approfittare dei più deboli, per lo Stato no. È saggio imboscarsi anziché combattere, per lo Stato no.
Questo il contenuto del discorso di Vance. O almeno delle parole da lui pronunciate. Dietro le quali, ben più corpose, stanno le troppe parole pensate e non dette.
Traduciamo le pensate e non dette:
1) a voi ci pensiamo noi; ma non aiutandovi e proteggendovi come ai tempi della Guerra Fredda, quando ci servivate come cuscinetto per separarci dal nuovo nemico, che minacciava di prevalere tanto nella corsa allo spazio che in quella agli armamenti, e che a Cuba giunse a minacciarci sulla soglia di casa, ma nel senso che d’ora in poi parleremo noi per voi. Spartendoci come antipasto l’Ucraina col dittatore russo e presto l’intera Europa, che vorremmo riportare agli anni Cinquanta, quand’era ben divisa in due zone d’influenza: una americana e l’altra russa;
2) sarà bene che cominciate a metter da parte i soldini per provvedere alla vostra difesa, se mai ne avrete bisogno, perché la NATO non potrà pensare a tutto; un po’ perché penseremo noi ad asciugarle la borsa, un po’ perché non è detto che quando l’Europa sarà divisa in due blocchi – con Turchia, Ungheria, Polonia e chissà quant’altri non propriamente allineati – non è detto che quell’Organizzazione sarà ancora in grado di adottare decisioni rapide, chiare e condivise;
3) sarebbe bene che tornaste ad inginocchiarvi davanti alla Russia: un Paese che non produce assolutamente nulla, obbligato com’è a comprarsi all’estero persino il dentifricio, le scarpe e le mutande, ma che raccoglie da sottoterra oro, diamanti, gas, petrolio, uranio, cobalto, e ha dunque i soldi per pagarvi. Potremmo vendergliele noi, le scarpe. Ma anche in America, ormai, le scarpe le fanno i Cinesi, e noi vorremmo tenere la Russia lontana dalla Cina.
Eh sì. Perché se il sogno di Trump e di Putin è quello di tornare ai tempi facili della Guerra Fredda, quando i due vincitori si spartirono il mondo segandolo in due sul meridiano di Berlino, la Guerra Gelida del Terzo Millennio non può ignorare l’esistenza di un terzo protagonista: quel Xi Jinping che coglie oggi i frutti del capitalcomunismo cinese. Dove ad essere sfruttati non sono soltanto gli operai (scomparsi in Occidente dopo la fine dell’Età Industriale) ma anche i produttori, costretti a pagare il pizzo ad un Partito corrotto che poi lo ridipinge a nuovo purificandolo nelle immense sale da gioco di Macao.
Il piano di Trump e Putin di spartirsi il mondo in una partita a due si scontra con la realtà di un gioco ormai diventato a tre. Quanto meno a tre. A non voler considerare la crescente importanza dell’India nell’automotive e nel tessile, l’industria estrattiva ed automobilistica in Messico, i passi da gigante dell’Africa che vede confrontarsi sul proprio territorio i neocolonizzatori russi e cinesi con quel che resta degli antichi protettorati francesi e britannici.
Non vincerà il migliore, o il più ricco, o il più forte. Vincerà chi saprà costruire le migliori alleanze.
Gli USA, ridimensionando l’Europa da prezioso alleato a bottino di guerra, si inchinano a baciar la pantofola al nullafacente Vladimir Putin pensando di poter in tal modo isolare Xi Jinping, che ne ricava invece mano libera nel Pacifico. Che è un po’ come voler rifilare un secondo schiaffo (dopo le minacce al Canada) a quella Gran Bretagna che nel Pacifico coltiva non pochi interessi, a cominciare dall’Australia, altro reame del Commonwealth, per finire con le numerose basi navali che fanno del Regno Unito una delle più possenti marine al mondo.
In uno scenario che pare velocemente scivolare verso una lunga stagione di guerre, l’Unione Europea non ha che una sola possibile via di salvezza. Una e quanto mai urgente. Quella di farsi (finalmente) Stato.
Lo ha detto Mario Draghi. Lo sta dicendo in questi stessi giorni Alan Friedman. Lo han detto con forza i più attenti osservatori politici.
Non lo hanno detto (e mai lo diranno) i partiti politici italiani. Né quelli della (sedicente) maggioranza, tampoco quelli della (sedicente) opposizione. Timorosi come sono, nella loro minutezza, di disciogliersi ulteriormente all’interno di un’entità federale assai più vasta di quella nazionale.
C’è poi l’ostacolo delle monarchie, legittime proprietarie del territori che governano e dunque meno disposte a rinunciare alle loro secolari prerogative.
È per questo motivo che lo Stato Federale Europeo non potrà che nascere (come del resto fu per la CECA, l’Euratom, la CEE, la UE, l’Eurozona, l’Area Schengen) per mano di chi ci sta: siano esse due, tre, quattro o più nazioni fondanti. E nascerà parallelamente (non alternativamente) all’Unione Europea, che potrà continuare ad esistere come tale: come Unione e non come Stato. E tra i membri della UE ci sarà anche il nascente Stato Federale Europeo, grande o piccolo che sia. Ma dotato di pieni poteri legislativi, esecutivi e giudiziari sulle materie di interesse comune, con una propria moneta, una propria tassazione ed un’economia federale condivisa.
Non sarà solo un possibile futuro per l’Europa.
È il solo futuro possibile.
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