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Tra il non dire e il fare, c'è di mezzo il mare

Putin affila i missili. Un ipersonico Oreshnik costa quanto una villa a Portofino ma dura molto meno. Distrugge quanto sei bombardamenti aerei ma, soprattutto, lo lanci dal comodino del letto e non rischi la pelle. Anzi: non rischi nulla. Se non che qualcuno te ne tiri di rimbalzo uno più grosso. 

Tante spese e tanto affanno per metter le mani su uno staterello come l’Ucraina, povero, disarmato e ventotto volte più piccolo della santa madre Russia?

Se fosse vero, ci sarebbe da interrogarsi non solo sulla lucidità mentale di Putin (offuscata da un pezzo) ma anche su quella dei generali e dei reggibanana che gli ronzano intorno, neppure in grado di comprendere quale figura barbina sia quella di un orso gigantesco che in mille giorni non riesce a divorare un piccolo scoiattolo.

Dev’esserci dell’altro. E quell’altro, come già ipotizzato altrove, è quell’unico bene che alla Russia manca, e che neppure è in grado di comprare: il mare. O meglio: i mari. Il Baltico, il Mar Nero... Magari un pezzo di Pacifico a mezzadria con la Cina, a spese di Giappone, Sud Corea e Indocina.

Il primo indizio di quali siano i reali obiettivi dell’aggressione ucraina non emergono dalle troppe e devianti parole di Putin, quanto dai molti meditati silenzi. Silenzi che valgon spesso più di mille discorsi. 

Il più rumoroso tra questi silenzi è certamente quello che Putin pare voler riservare alla Gran Bretagna: padrona dei mari del mondo e tuttavia inspiegabilmente esclusa dal ventaglio di minacce che il dittatore quotidianamente lancia in direzione di USA, Unione Europea, NATO, genericamente definiti «Occidente».

Putin sa bene di possedere una flotta scarsamente competitiva, fatta com’è principalmente di sommergibili, in mancanza di porti sicuri dove nascondersi. E, soprattutto, non dispone di una rete planetaria di basi navali comparabile con quelle americane e, ancor più, britanniche. 

Confida sulla Cina. Che però, a differenza di una Russia deindustrializzata e incapace di produrre da sé persino i piatti in cui mangia, è stata capace di emergere come grande potenza grazie allo studio e al lavoro. Ed oggi, come ogni grande società d’affari, ha interesse a mantenere intatto il portafoglio dei clienti da cui trae consistenti profitti e discreto benessere. 

Tendenzialmente colonialista la Russia, decisamente imperialista la Cina, quest’ultima succhia gas e petrolio dalla prima, in cambio di armi e know-how, ma certo non intende far saltar per aria la rete di commerci mondiali avvolta con tanta pazienza e fatica sull’intera superficie del pianeta.

Su una cosa ci sentiamo di scommettere: se Putin deciderà di agire a modo suo, sfuggendo alle braccia cinesi che lo trattengono, sarà la Gran Bretagna la prima a rispondere militarmente nella misura più pesante e definitiva possibile. E il dittatore ne è consapevole. Nessun Americano andrà mai a combattere in nome di Trump; ma ogni Britannico è pronto a morire in nome del proprio re.

Nessuno ha mai chiesto a Putin se egli consideri la Gran Bretagna un amico o un nemico. Prudenza gli serrerebbe in gola le contumelie, le minacce e gli insulti consuetamente rivolti all’«Occidente», nel timore di svelare il vero obiettivo. Ed insieme ad esso la paura di un avversario che sa immensamente più forte e tenace di lui. 

Più facile, per Putin, tentar di disintegrare un’Europa mai di fatto integrata, che non cercar di dividere un regno unito da oltre tre secoli.

Il medesimo silenzio, d’altronde, aleggia sul Regno, apparentemente disinteressato alle provocazioni dirette oltre Atlantico, ma costantemente attento e vigile sull'evolversi dello scenario bellico. 

I pezzi vanno lentamente disponendosi sulla scacchiera, e Putin ha azzardato la prima disastrosa mossa, rivelando al mondo quanto sovrastimata fosse la sua forza e quanto debole e dilettantesca la capacità militare.

Di fronte a tanta inadeguatezza, gli avversari esitano a rispondere con la forza, mandando avanti i coraggiosi Ucraini, mentre i falsi amici offrono a Putin pochi aiuti interessati e a strozzo, dalla Wagner a Xi Jinping a Kim Jong-un. 

Se una cosa è certa, è che o gli uni o gli altri finiranno prima o poi col mangiarselo.  

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