Alle origini vi fu con tutta probabilità lo sgambetto degli USA all’URSS a Hiroshima e Nagasaki. Ad alimentarla ci pensò in seguito la forzata spartizione dell’Europa.
Mentre Stalin portava a termine la conquista di Berlino, tra Aprile e Maggio di quel medesimo 1945, restava in guerra col mondo solamente il Giappone: facile boccone per l’URSS che se lo ritrovava davanti, separato da sole 23 miglia di mare.
Gli USA, consapevoli che una vittoria di Stalin in Giappone, tre mesi dopo la conquista di Berlino, avrebbe consacrato l’Unione Sovietica come il solo vincitore dell’intera guerra, ne anticiparono le mosse ed il successivo mese di Agosto bombardarono Hiroshima e Nagasaki, costringendo l’Imperatore nipponico alla resa.
Definitivamente conclusa la guerra «calda», se ne aprì tra USA e URSS una «fredda», che ebbe come terreno di confronto inizialmente l’Europa, spartita tra i vincitori in due zone situate ad Est e ad Ovest di Berlino, ed in seguito lo spazio, dove l’URSS lanciò in orbita nel 1957 il primo satellite artificiale, lo Sputnik, e successivamente (1961) il primo uomo, Jurij Gagarin, spinto in cielo dal razzo Vostok.
Per gli USA fu un primo segnale d’allarme: la superiorità tecnologica fino ad allora incarnata dagli USA nell’arma atomica – presto trasformata in arma politica – rischiava di essere sopraffatta dalla corsa sovietica allo spazio. A ciò si aggiunse la crisi del 1962, quando i Russi iniziarono a schierare sull’isola di Cuba forze navali e missili con testate nucleari in grado di colpire gli Stati americani. Il mondo fu ad un passo dal conflitto globale, ma la crisi fu all’ultimo istante positivamente risolta dagli accordi segreti siglati dai presidenti John Kennedy e Nikita Krushev.
Enormi risorse vennero stanziate dagli USA per colmare il crescente divario in campo missilistico. Presero vita la «National Aeronautics and Space Administration» (NASA) ed il Progetto Apollo, che in meno di dieci anni riuscì a far sbarcare i primi astronauti americani sulla Luna (Luglio 1969): un durissimo colpo all’ormai surclassato primato sovietico nell’esplorazione spaziale.
Pochi anni più tardi (1975), a coronare la paziente opera di riavvicinamento avviata dai presidenti Richard Nixon e Leonid Breznev, una navicella americana ed una russa si agganciarono nello spazio: segnale d’avvio di una nuova politica di «coesistenza pacifica».
L’apertura verso l’Occidente, la sete di indipendenza degli Stati satelliti in Europa ed il percorso di riforme successivamente avviate in URSS da Michail Gorbacev portarono presto alla caduta del Muro (1989) e, quindi, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991).
La guerra fredda non fu più che un ricordo.
* * * *
Ormai dimenticata quella lunga e tormentata stagione, il ritorno al potere di un Donald Trump ancor più vecchio e imbestialito, affiancato da una cieca corte di incoscienti arrivisti, sembra averne avviata una ancor peggiore, che potremmo forse chiamare di «guerra gelida». Se non altro perché, tra i primi obiettivi finiti sotto tiro, Canada e Groenlandia non brillano certo per la mitezza del clima.
La cronaca ci narra quel che domani scriverà la Storia.
In Russia un dittatore pazzo invade un Paese confinante disarmato e ventotto volte più piccolo, ripromettendosi di sottometterlo in tre giorni, ma non ci riesce neppure in tre anni, con gran dispendio di vite umane e di risorse. Incapace di giustificare al mondo tanta inaspettata impotenza, inventa immaginari nemici addossando ogni colpa ora agli imbelli Stati europei, ora agli USA, ora alla NATO (mai così appantofolata), volgendo lo sguardo famelico verso le vicine Lettonia, Lituania, Estonia, Finlandia e Moldavia.
In Cina, alle prese anch’essa con la fine dell’età industriale, minacce non dissimili son quotidianamente indirizzate da Xi Jinping non solo alla piccola Taiwan, ma anche alle cattoliche Filippine, sostituendosi ai Giapponesi nell'antico sogno di impadronirsi dell’intero Oceano Pacifico. E allo stesso tempo strizza l’occhio al dittatore russo con cui vorrebbe spartirsi l’Africa.
Che gli USA non potessero restare troppo a lungo a guardare, stava nell’ordine delle cose. Quando i banditi metton mano alle pistole, il villaggio nomina un nuovo sceriffo: e lo sceglie tra coloro che anziché sulla sedia a dondolo preferiscono montare a cavallo, ben armati, ed i banditi inseguirli, scovarli ed appenderli.
E fu così che la scelta cadde ancora una volta su Donald Trump.
Che pazzo non è, ma ci fa.
Se pazzo lo fosse per davvero, come un Putin qualsiasi, in Canada avrebbe già mosso gli eserciti contro Sua Maestà Carlo III ed in Groenlandia contro Sua Maestà Ferdinando X.
Ma non lo è. Lascia i soldati in caserma e si limita a dare una spolverata ai collaudati armamentari del vecchio West: cappello, stivali, speroni e pistola al ginocchio. Ma, soprattutto, il grugno provocatorio e sprezzante, da bullo sempre pronto a fare a pugni tra uno schifoso whisky e l’altro.
È il film che molti Americani volevano vedere, dopo tante Biancaneve nere con nani (pardon: «verticalmente svantaggiati») alti due metri. Un buon sano vecchio Western degli anni Cinquanta, quando i cattivi erano ancora gli Indiani e l'arredo del saloon andava rifatto due volte la settimana.
È guerra gelida. Perché non sono (ancora) le armi a parlare, ma il gelo degli sguardi; il gelo di chi sospende gli aiuti umanitari onde evitare che per metà servano ad acquistare bombe, indifferente al fatto che l’altra metà servisse a nutrire degli innocenti; il gelo delle frontiere sigillate anche ai buoni, non soltanto ai malvagi; il gelo di chi non tollera regole, limitazioni, controlli, e lungi dal migliorarli preferisce cancellarli con un tratto di penna.
C’è tuttavia una sostanziale differenza, tra l’antica guerra fredda – vinta non con la forza delle armi, ma con le imprese spaziali – e l’odierna guerra gelida, combattuta sul piano scivoloso delle minacce economiche e su quello comunicativo del web planetario acchiappafessi.
La guerra fredda vide fronteggiarsi due superpotenze, entrambe acclamate vincitrici di un lungo e cruento conflitto contro il male assoluto.
La guerra gelida vede in campo non due, ma ben tre contendenti, nessuno con appuntata al petto una medaglia al valore e ciascuno per differenti motivi in una situazione di crisi: gli USA intenti a ridisegnare la loro economia a misura dei nuovi tempi; la Cina incapace di dare occupazione ai compagni privi di formazione, inadeguati ai moderni sistemi produttivi; la Russia – che un’industria non l’ha mai avuta, ma vive raccogliendo oro, diamanti, cobalto, uranio, gas e petrolio – in cerca di quella dignità e di quel rispetto di cui soltanto gli Zar han forse in un lontano passato potuto godere.
Con tre squadre in campo, il gioco cambia. E non di poco. Perché non sono più la forza, l’abilità o l’astuzia a prevalere, come nella spada o nella boxe, ma contano invece le alleanze.
Trump e Putin, insieme, potranno forse aver la meglio su Xi Jinping, ma Putin e Xi Jinping avrebbero facilmente ragione di Trump, così come Trump e Xi Jinping potrebbero agevolmente prevalere su Putin.
Vincerà comunque chi si batterà in due contro uno. Senza neppure dover conquistare la Luna; senza dover necessariamente far uso della forza. La somma di due debolezze sarà più che sufficiente per sconfiggere la terza.
Ma le alleanze non nascono a tavolino: nascono lungo la strada, camminando insieme. Osservandosi e studiandosi. E questo è quel che vanno oggi facendo i tre contendenti. Lanciano segnali. Molto rumorosi, molto luminosi, come ogni fuoco d’artificio che si rispetti. Ma in definitiva del tutto innocui. Se si pensa che basterebbe la debole pressione un solo dito di Trump, di Xi o di Putin, posato sul pulsante rosso, per scatenare l’Apocalisse.
Non è (ancora) una guerra. E neppure una partita a scacchi. È un torneo a tre.
Non un duello, nel quale a vincere è sempre e comunque il migliore, ma una sorta di scontro tra cosche che si contendono il medesimo territorio. Dove a prevalere saranno inevitabilmente non le più forti, ma le più spregiudicate e crudeli.
Quelle che, in nome del potere fine a se stesso, sapranno rinunciare alle loro tradizioni e alla loro storia, per unirsi in una sola famigghja con chi fino a poco tempo prima non era che un odiato e spregevole nemico.
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