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Tanta carta, poca musica

«Perro ladrador, poco mordedor», dicono gli Spagnoli. «Can che abbaia, non morde», traducono gli Italiani. E a quest’antico detto pare ancora attenersi il governo dei morti di fame (finalmente seduto a tavola), usualmente intento a moltiplicare poltrone, stipendi e indennità onde placare gli atavici appetiti.  

Così, dopo i latrati del primo «decreto rave», che moltiplicava pene già esistenti pur di renderle di fatto inapplicabili, o la più recente introduzione dell’art. 64 bis del Codice Penale, che mentre finge di appesantire le pene a chi occupa gli altrui immobili legittima di fatto l’occupazione di stabili pubblici e privati non adibiti a domicilio, il governo si vanta con nulla celato orgoglio d’aver infine varato un nuovo Codice della Strada! 

Anche stavolta le molte proibizioni nascondono in realtà non poche concessioni. Mentre con una mano si proibisce per ben tre anni (anziché uno) ai neopatentati la guida di veicoli oltre una certa potenza, con l’altra si eleva quest'ultima dai 90 ai 140 cavalli. Allo stesso modo si consente ai motocicli 125cc l’accesso alle autostrade e (regalino ai tassisti) si riduce a 18 anni l’età richiesta per la guida di veicoli adibiti al trasporto di passeggeri. 

A fronte di tali concessioni si elevano le pene per molti dei divieti già esistenti, dalla guida in stato d’ebbrezza al mancato uso delle cinture, fino alla guida col telefonino. Dimenticando il fatto che le autovetture di oggi son già di per sé un gigantesco telefonino su ruote, munite di display che superano spesso i 20’ (le dimensioni di un vecchio televisore a tubo catodico) e che su quello schermo è possibile inviare messaggi, visualizzare tiktok e far tutto ciò che a un normale telefonino è possibile fare. Ed anche di più. 

A tanto latrare, ancora una volta, non corrisponde una pari dentatura. Nel senso che la revisione del Codice non prevede alcun mutamento, qualitativo e/o qualitativo, del personale addetto alla vigilanza del traffico. Dimenticando il fatto che neppure il più ben scritto tra gli spartiti è in grado di far buona musica, quando mancano gli orchestrali.

Al tempo in cui in una media città i proprietari di automobili non arrivavano all’uno per cento della popolazione, i vigili urbani non erano meno di venti o trenta ogni mille auto circolanti. 

Oggi, in proporzione, una città di centomila abitanti con cinquantamila auto per strada non dovrebbe aver meno di mille vigili addetti al controllo del traffico. 

Ma così non è. I pochi vigili in servizio (un tempo «vigili urbaniı», oggi «polizia locale») sono appoltronati in ufficio, e a poco vale la pronta obiezione che «non ci sono i soldi per assumerne», perché il proprio stipendio un vigile se lo paga da sé, in uno o due giorni di contravvenzioni. 

Dev’esserci dunque una qualche altra ragione se in Italia le strade sono alla mercé di chiunque intenda usarle come pista per le corse o veda in ogni pedone un potenziale birillo da bowling. E l’unica possibile spiegazione è il fatto che in Italia i vigili urbani sono alle dipendenze dei Comuni, ed un Comune che riempia di multe il parabrezza dei propri elettori, difficilmente potrà esser riconfermato alle successive consultazioni. 

A riprova di quanto detto è sufficiente osservare qual che accade in piena stagione nelle nostre località turistiche: non c’è auto forestiera che non venga puntualmente bersagliata da ogni genere di avviso di contravvenzione,  mentre non c’è auto «locale» alla quale non sia perdonata ogni infrazione.

Occorrerebbe forse una maggior presenza della polizia stradale (nazionale), o l’istituzione di una sorta di polizia consortile tra piccoli Comuni, così che nessuno debba ritrovarsi a dover multare l’amico o il parente. Certo è che affidando il compito di disciplinare il traffico ai semafori (ignorati) o alla segnaletica (errata o illeggibile) o alle telecamere (impotenti), anziché a degli esseri umani, neppure la pena di morte potrebbe mai ottenere alcun significativo risultato.

Solo gli strumentisti sanno come trasformare in note gli scarabocchi appesi al pentagramma dello spartito. Senza di loro, non può esserci ordinata armonia, ma solo un’altra, ennesima, inutile montagna di carta. 

Senza un vero potere esecutivo, capace di trasformare in azione ogni disposizione, non v’è legge che non sia destinata a rimanere un ottimistico auspicio. Piuttosto che un’imposizione o un ordine.

E un vero potere esecutivo, a quanto è dato constatare, il Paese ancora non ce l’ha.  

 

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