La cosiddetta «intelligenza artificiale» (AI) – che di intelligente ha in realtà ben poco, o forse nulla – è una tecnologia tanto necessaria e inevitabile quanto, per sua natura, tendenzialmente pericolosa nel tempo.
È necessaria, perché la crescita esponenziale delle informazioni rende oggi impossibile non solo la loro acquisizione e conoscenza, ma persino la catalogazione.
Si pubblicano ogni giorno nel mondo 6.027 libri (dati UNESCO 2022), ai quali occorre sommare alcune migliaia di testate giornalistiche, oltre a mezzo milione di ore di trasmissioni televisive quotidiane. Ancora poca cosa, in confronto all’oceano infinito di informazioni, vere e false, che circolano sul web.
Se ancora ai tempi di Dante esistevano uomini autorizzati a dire d’aver letto tutto quel che sin dalle origini era stato scritto nel mondo, ai giorni nostri nessuno può e potrà mai essere in grado di affermarlo. Dieci vite non sarebbero sufficienti per prender visione di quanto detto e stampato in sole ventiquattr’ore nel mondo. Forse neppure a memorizzarne i titoli.
L’AI fa questo per noi. Vagabonda lungo il web come un aspirapolvere robot sul pavimento e risucchia tutto quel che trova. Per poi restituircelo ordinato e ricomposto sulla base dei propri algoritmi. Condito magari da qualche stocastico strafalcione, inevitabile quando non v’è modo di verificare i dati in ingresso e i traduttori automatici si mostrano in ritardo rispetto all’evolversi della lingua.
Imperfetta quanto basta, l’AI è tuttavia il solo strumento di cui l’umanità possa al momento disporre per tener quanto meno sott’occhio, se non proprio approfondire e conoscere, il divenire del pensiero nel mondo.
A fronte di questo risultato comunque positivo, esiste tuttavia una possibile conseguenza negativa.
Che non è quella puntualmente denunciata dagli osservatori di dita che occultano la luna, e cioè il prevedibile moltiplicarsi delle fake-news (gli strafalcioni!), volontarie e involontarie, pronte per esser bevute solo da chi è nato per bersi quello ed altro.
No. Il vero pericolo è lo scorrere del tempo.
L’accumularsi negli anni, nei decenni, nei secoli, di un numero esponenzialmente crescente di informazioni, sempre meglio elaborate da un’AI in costante evoluzione, rischia di generare enormi depositi di «intelligenza fossile», ai quali poter liberamente attingere senza più dover necessariamente ricorrere a fonti di «intelligenza rinnovabile». Di intelligenza naturale.
Che cosa è, dopotutto, un giacimento di gas, di carbone o di petrolio, se non la millenaria accumulazione di fonti di energia elementari, derivanti dalla decomposizione di organismi un tempo viventi di cui si è persa la memoria?
Il rischio è che in un non lontanissimo futuro la disponibilità pressoché illimitata di informazioni gestite e rigenerate dall’AI porti lentamente alla scomparsa del pensiero umano: dell’intelligenza «naturale».
Se tutto il dicibile sarà già stato detto, se tutto l’inventabile sarà già stato inventato, perché sacrificare la vita alla ricerca di ciò che ancora non esiste, di inedito, di nuovo, quando ci sono macchine che lo fanno automaticamente per noi? Ma chi alimenterà in futuro quelle macchine, se niente verrà più creato da una sempre più rara umana genialità, ma solo dal rimescolamento di dati e nozioni sedimentate e fossilizzate da secoli e millenni?
Il rischio è che tali giacimenti di dati «fossili», in assenza di nuovi apporti, finiscano un giorno con l’esaurirsi. Non diversamente da quanto oggi accade con i materiali combustibili, accumulatisi in centinaia di migliaia di anni ed oggi quasi a secco dopo poco appena un secolo di sfruttamento intensivo.
Occorre tutelare e preservare le «intelligenze rinnovabili», ed è un compito che spetterà ancora una volta alle grandi università. Non a quelle incatenate alla ricerca «utile», finalizzata alla produzione di oggetti, ma a quelle che sapranno ritrovare le loro vere origini, quando le tecniche di confronto, di discussione e di studio maturate negli antichi monasteri furono per la prima volta applicate a nuove e più laiche aree del sapere.
Per farsi nuove domande e cercare nuove risposte, piuttosto che nutrirsi di cibi solo apparentemente nuovi, ma in realtà composti da vecchi, vecchissimi ingredienti.
Magari tossici, in un prossimo domani. Perché scaduti.
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