Compratasi (a poco prezzo) la Russia e già in affari con la Cina, la sola forza armata in Occidente in grado di contrastare la neonata dittatura trumputiniana sembra essere la Gran Bretagna, che regna con successo non soltanto in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda, ma anche in Australia, Canada e Nuova Zelanda, senza scordare Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Giamaica, Grenada, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts and Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Isole Salomone e Tuvalu.
Ma anche a voler restare nei più ristretti confini dell’Unione Europea, la monarchia spagnola ha fatto passi da gigante: la ricchezza cresce e le città non sono mai state così ordinate, pulite, vivibili ed efficienti. Ed anche i Paesi Bassi, la Danimarca, la Svezia, il Belgio, il Lussemburgo non sembrano poi passarsela tanto male.
A tal punto ci ha condotto il Pannocchia, nel brevissimo volger di un mese? Ad accendere più d’un dubbio sulla bontà della forma repubblicana e rimpiangere i reali d’un tempo?
Nessuna fantascientifica distopia ha mai osato ipotizzare tanto! Ma troppe cose son mutate, dopo la fine dell’età industriale in Occidente.
La ricchezza non nasce più dallo sfruttamento di una classe operaia occupata in lavorazioni troppo elementari per consentire ai migliori di lasciare la fabbrica e mettersi in proprio. Cosa mai avrebbe potuto incidere sull’insegna, quel coraggioso secessionista? «Avvito bulloni»? «Scartavetro il legno»?
Il denaro sta oggi nei servizi: chi acquista in rete risparmia tempo, fatica e carburante; chi ha un conto online non fa più file in banca o alle Poste; chi sceglie l’hotel in rete ottiene il prezzo più conveniente, senza doverne interpellare una dozzina al telefono; chi sceglie un volo e fa il check-in da casa, salta le code e spende meno.
Un risparmio per il consumatore, certamente. Ma una parte di esso, per quanto minima, diverrà il mattoncino con cui erigere le mura merlate delle nuove grandi ricchezze. Che non si fanno più vendendo a qualche fortunato la villa da duecento milioni, il gioiello da cinquecento o la barca da un miliardo, ma raschiando uno o due euro al giorno dalle tasche di otto miliardi di persone.
Altro che costruire fabbriche, buone per Indiani, Messicani o Cinesi! Meglio mettere al lavoro un’idea, o un algoritmo che faccia tutto da sé. Pescare diecimila aringhe rende assai più che pescare un solo tonno, ed è infinitamente più facile: basta lanciare la rete e attendere. Più semplice vendere centomila gratta&vinci che non costruire un casinò e riempirlo di quel finto lusso che tanto piace ai poveri. Tutti, al mondo, hanno in tasca una o due monete pronte per esser pescate.
Si chiama accattonaggio elettronico su larga, larghissima scala. E funziona. E il nuovo arricchito non avrà neppure bisogno di imparare a vestirsi, a parlare o a far uso delle posate, perché neppure avrà motivo di condurre una vita sociale. Potrà per sempre restare quel che veramente è: un ricco accattone.
* * * *
Son questi i nuovi padroni del mondo. Non li puoi combattere scioperando perché neppure hanno dei dipendenti, se non pochi sorveglianti immediatamente rimpiazzabili. Non puoi occupar loro la fabbrica, perché una vera fabbrica non ce l’hanno. Puoi far loro concorrenza, se ne sei capace, ma non puoi contenerne l’invadenza, normandoli e regolamentandoli. Se non vuoi fare la fine dell’Unione Europea, che ha avuto l’ardire di provarci.
La loro principale debolezza sta nel fatto che chiunque può facilmente comprendere quali idee abbiano in testa, perché sono tanto semplici e poche da potersi enumerare sulle dita di mezza mano.
La prima è: «Io sono io e voi non siete niente». Ti illudo di essere libero perché ti lascio scrivere e dire sui miei canali tutto quel che ti salta per il capo – menzogne, pornografia, falsità, diffamazione ed insulti compresi – ma poi decido io che cosa lasciar passare e cosa no, senza che tu possa in alcun modo saperlo.
La seconda è: «Non c’è altra libertà all’infuori di me». Ti convinco che la libertà consista nel dar forma e voce a tutte le porcate che ti porti dentro, che la vera libertà stia nel rutto libero, nello scrivere sui muri, nel saccheggiare negozi o nel picchiare il medico o il professore, e quando ti rendi conto che nel tuo Paese questo non è consentito (o quanto meno mal visto) ti senti un perseguitato dalla società e ti butti tra le mie braccia promuovendomi ad unico garante della tua «libertà». O meglio: di quella voglia di sregolatezza, odio per la legge e licenza d’uccidere che io ti ho addestrato a chiamar tale.
La terza è: «Devo conquistare quell’ultima fascia residuale che non possiede né un computer, né un telefonino». Mi impadronisco della stampa, delle televisioni, del cinema, di tutto quel che può permettermi di raggiungere chi per qualsiasi motivo – per età, incapacità o indisponibilità – non abbia accesso alle mie «libertà» informatiche. In tivù cancello i programmi di informazione e li sostituisco con la più totale disinformazione: giochi, quiz e gossip. Sdogano il turpiloquio spacciandolo per «libertà» (la mia), do voce ad un esercito di asini ignoranti, così che i lettori e telespettatori si sentano, se non più intelligenti, comunque meno asini di loro. Li sazio di imbonimenti pubblicitari parimenti menzogneri e volgari e cerco di portar via anche a loro qualche monetina da moltiplicare per milioni e milioni di telespettatori.
L’ultima loro idea è quella che in questi giorni stiamo in prima persona vivendo: «Se ho accumulato in pochi anni un così sterminato potere ed una tale sterminata ricchezza, e nessuno può direttamente minacciarmi perché non possiedo né castelli da assaltare né fabbriche da incendiare, c’è una sola cosa che io possa realisticamente temere: la possibilità di una guerra su vasta scala che stacchi la spina alla rete e mandi a morire l’immensa quantità di pollame che quotidianamente nutro (poco) e quotidianamente depone per me denaro (molto). Devo pertanto costruire la pace. Non una pace qualunque, ma la MIA pace».
Devo farmi amici tutti i potenziali nemici. A partire da quella Russia che non produce niente ma possiede oro, diamanti, gas, petrolio e cobalto quanto basta per consentirle di collezionare missili e testate all’idrogeno, fino a quei Sauditi che con quattro coltelli da cucina han raso al suolo il Pentagono e le Torri Gemelle, senza scordare di tener d’occhio la Cina, che è una grande cliente ma potrebbe un giorno decidere di mettersi in proprio. Quanto all’insetto europeo, che mi punzecchia imponendo limiti e regole, sarà sufficiente comprarsi a poco prezzo qualche governante, o qualche oppositore insoddisfatto da mandare al governo. Nulla di più facile, se anche i governati sono insoddisfatti.
E gli insoddisfatti sono tanti, tantissimi. Li abbiamo creati noi. Uomini mai così ricchi e così liberi, proprietari di automobili e case, per la prima volta col bagno e il riscaldamento in casa, e tuttavia insoddisfatti. Perché noi abbiamo saputo renderli tali: spacciando la licenza di rubare ed uccidere per «libertà» e portandoli ad odiare le loro leggi e i loro governanti, incapaci di offrir loro quelle false «libertà» che noi invece distribuiamo gratis e a piene mani.
Volete rubare, stuprare e uccidere? Noi vi rimetteremo in libertà! Volete dare l’assalto non solo a banche, supermercati e negozi, ma persino al Parlamento federale, al Palazzo del Congresso? Distruggere arredi, opere d’arte ed uccidere il personale di servizio? Noi vi rimetteremo in libertà! Volete smettere di pagare le tasse, locali o federali? Noi ve ne daremo libertà!
Cosa chiediamo in cambio?
Nulla. Nulla più di un semplice voto. È la democrazia, belli!
O no?
No. Non è democrazia. È dittatura totalitaria. Per acclamazione, e non per voto. Come lo fu per Mussolini, per Hitler, per Franco, per Milei: acclamati dal popolo come mai nessun altro prima.
Acclamazioni che nascono – la Storia insegna – dall’assenza di valide e credibili proposte alternative.
Un dittatore lo riconosci all’istante, perché quale prima misura assume tutte quelle pose e atteggiamenti che egli crede essere degni di un regnante, esagerandoli fino a farlo apparire non come un vero re, ma solo la buffa caricatura di un re. Come racconta Chaplin nel suo capolavoro, dono cinematografico di un’America ormai perduta, che non tornerà mai più. Quella dei Superman, contrapposta a quella dei Joker.
Costretti a scegliere tra un vero monarca e la sua infame caricatura, è istintivo chiedersi se non sia da preferire il primo, che sotto la corona nasconde comunque un qualche onore da difendere, costruito nei secoli, anziché un crudele pagliaccio che dell’onore si è sempre preso gioco.
Per poi macchiarlo in modo irrimediabile e definitivo.
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