Passa ai contenuti principali

Panem et circenses

Il caso Tony Effe, il rapper con più scritte addosso di un muro di Roma, chiamato dal Campidoglio per esibirsi nel concertone di fine anno ed infine ripudiato per via dei testi sconvenienti delle sue canzoni (senza che nessuno avesse precedentemente avuto l’accortezza di ascoltare) apre uno squarcio di luce su una delle tante anomalie italiane: arte gratis a piene mani, pagata con i soldi pubblici, in cambio di un rigido controllo sui contenuti.

È uno dei tanti aspetti di quella campagna elettorale permanente che quotidianamente riempie le pagine dei giornali del Paese, altrove destinate invece alle notizie. 

In nessun’altra parte del mondo qualcuno si sognerebbe di distribuire musica senza far pagare un biglietto il cui prezzo, nei primi posti, può facilmente oltrepassare i mille euro. Per quanto dispendiosi, i tanti festeggiamenti che il mondo comunque apparecchia per salutare il nuovo anno non prevedono l’esibizione gratuita di star internazionali, ma fuochi d’artificio, luminarie, sfilate, effetti speciali, parate, balli o bagni di mezzanotte in spiaggia, come a Copacabana.

A Times Square (nel doposangiuliano generosamente restituita a New York) lo scoccare della mezzanotte è accolto da una folla sterminata che si limita a scandire il count-down della sfera che, con lenta discesa, annuncia l’inizio del nuovo anno. A Berlino si mangia e si beve intorno alla porta di Brandemburgo. A Londra, dopo i fuochi sul Tamigi, la folla si disperde nei numerosi locali (a pagamento!). A Las Vegas, dove le luminarie brillano per tutto l’anno, in quell’ultimo giorno superano se stesse. Ma non c’è spettacolo che non richieda un biglietto. 

Così accadeva anche in Italia, quando ancora esisteva un’imprenditoria privata nel mondo della musica e dello spettacolo. 

Quando i Beatles sbarcarono nello Stivale, in quell’ormai paleozoico 1965, non furono i Comuni di Milano, di Genova e di Roma a scritturarli, e tanto meno la RAI, ma un impresario sconosciuto ai più, di nome Leo Watcher, con l’aiuto della casa discografica Carish, che colse l’occasione per promuovere molti dei propri artisti come musicisti «di spalla» (come venivano chiamati quei giovani in cerca di notorietà chiamati a scaldare il pubblico prima dell’esibizione della star di turno, che raramente superava i quarantacinque minuti).

Non una lira uscì dalle casse pubbliche. E neppure sarebbe stato immaginabile, allora. L’impresario trovava i finanziamenti, contrattava le star, affittava i teatri, pagava la pubblicità (non esisteva sui giornali la pagina degli spettacoli, colma di marchettoni gratuiti) e staccava i biglietti. Se la tournée aveva successo, buon per lui. Se era un flop, pazienza. Sarebbe andata meglio la volta successiva. 

Tutto cambiò dopo il 1977, con l’avvento delle fortunate «Estati romane»: sapiente trovata dell’allora assessore alla Cultura del Comune di Roma, Renato Nicolini. Una valanga di spettacoli cinematografici, musicali, teatrali si abbatté sulla città. Tutti rigorosamente gratuiti. O meglio: pagati con soldi pubblici. 

Che di ulteriore «cultura» una capitale culturale del peso di Roma non avesse poi così gran bisogno, era chiaro a tutti. Che sdoganare come «cultura» (in nome dell’allora popolarissimo «relativismo culturale»), musica pop, filmetti, avanguardia teatrale e cabaret non fosse per la città una priorità assoluta, era altrettanto evidente. Ma era tutto aggratis, e le notti romane erano lunghe. E la ricca carrellata di eventi ricoprì di facili quanto sterminati consensi la giunta guidata al tempo dallo storico dell’arte Giulio Carlo Argan. 

In tutta Italia si scatenò il dibattito sull’opportunità di lasciare alle amministrazioni locali il compito di mescolare cultura alta e cultura di massa, sostituendosi all’allora folta presenza privata nel settore. 

Molti furono poi i Comuni che vollero imitare l’amministrazione romana, tanto che nel giro di un decennio ogni forma di imprenditoria nel settore della musica e del teatro, in Italia, scomparvero completamente. Ultima in ordine di tempo: la discografia.

Oggi non esiste, tra gli artisti, altra via per emergere se non quella della radiotelevisione (in gran parte statale) o degli spettacoli nelle piazze, nei teatri o nei monumenti arbitrariamente e liberalmente concessi dal Governo o dagli Enti Locali. 

La contropartita di tanta apparente generosità è di due differenti specie: la prima, di nicoliniana memoria, è la costruzione del consenso (poco panem, molto circensens), la seconda è il ferreo controllo dei contenuti, che promuove gli artisti «graditi» e cancella quelli sgraditi. Col risultato di tener fuori dai confini spettacoli di straordinario successo internazionale, come il teatro in musica dei Blue Man Group, ma poco utili alla causa (elettorale). 

Se tanta innaturale selezione, insieme alla scomparsa di un intero settore dell’economia privata, desta oggi finalmente un certo scalpore, è perché l’attuale compagine governativa, muovendosi come un elefante in cristalleria, ne pesta così tante che qualcuna finisce poi sui giornali: come la tagliola a Sanremo, i divieti al Circo Massimo e via via distruggendo.

Pazienza. Ancora dieci giorni e il duemilaventiquattro saluterà milioni di Italiani dai soli palcoscenici al mondo dove (apparentemente) non si paga alcun biglietto. I fessi, come loro mestiere, applaudiranno ed un nuovo anno, non necessariamente migliore del vecchio, si affaccerà alla soglia. 

Auguri.    

Commenti

Post popolari in questo blog

Elogio del «Non ancora!»

Se solo gli umani sapessero quanto tutto quel che più li preoccupa appaia più chiaro, visto da quassù!  C'è voluta qualche decina di migliaia di anni prima che i terrestri accettassero l'idea che la Terra fosse tonda (e molti ne restano ancora da convincere). A noi, da quassù, è sufficiente affacciare il naso  fuori  dalla nuvola per osservare il pianeta ruotare maestoso nel cielo.  Allo stesso modo ci stupiamo nel vedere i suoi abitanti consumare in sterili diatribe buona parte delle loro altrimenti fortunate esistenze.  Ed è buffo che spetti a noi, che vivi più non siamo, insegnare come vivere ai viventi!  Non meravigliatevi dunque se tra i nostri compiti vi è anche quello di elargire di tanto in tanto qualche angelico consiglio.  Il suggerimento di oggi è che gli umani aboliscano definitivamente l'uso del SÌ e del NO. Causa prima e perniciosissima di gran parte dei loro mali.  Dicono i Romani (queli de Roma, no' queli de Caligola): «Con un SÌ t...

La Quarta Europa

Mentre dalle frontiere ucraine i venti di guerra bussano prepotentemente alle porte, l’Unione Europea – o, per meglio dire, alcuni degli Stati membri, in particolare la Francia – avvertono l’urgenza di rafforzare la difesa europea, più che dimezzata dopo la Brexit e frantumata in 27 eserciti che non comunicano tra di loro. Uno solo dei quali (quello francese) dotato di armamenti moderni e basi all’estero, ed altri – come in Italia e in Germania – ancora limitati dai trattati di pace del 1947. A voler parlar sinceramente, una vera Difesa Europea non esiste. Esistono eserciti nazionali, mal coordinati ed in diversa misura armati. Forse capaci di distinguersi in circoscritte missioni di pace o di ordine pubblico, ma non certo in grado di rispondere in modo efficace alle crescenti minacce di una o più grandi potenze nucleari.  Come di fatto in questi giorni avviene.  Esiste una NATO, certo: un’alleanza difensiva sovraeuropea mostratasi in grado di proteggere il continente per un t...

Dieci sconfinate menzogne

1) Le frontiere fra nazioni non hanno più alcuna ragione di esistere. Chi davvero lo pensa, dovrebbe per coerenza lasciare aperto di notte il portone di casa.  Quel che fa di un edificio un’abitazione son proprio le presenze umane che lì ci vivono, e il portone di casa è il limite che segna il confine tra il mondo di dentro (tendenzialmente amico) e il mondo di fuori (tendenzialmente nemico).  Starsene in casa propria non significa però autocondannarsi agli arresti domiciliari. Il portone lo si apre più d’una volta: per accogliere le persone gradite che vengono a farci visita, ma anche chi lo varca per ragioni di lavoro, dal portalettere all’idraulico. Talvolta anche per il mendicante che bussa alla porta in cerca di qualche elemosina.  Resta però ben chiuso di fronte a chi pretende di entrarvi di nascosto e con la forza. Peggio ancora se nottetempo, dal balcone o dalle finestre.  C’è un campanello. Suonarlo significa chiedere il permesso di entrare. Concederlo o men...