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Il ricatto del MES

Si erano lanciati in una brutta campagna elettorale, nel segno di «più Italia, meno Europa». 

Son stati accontentati: continueranno forse a contar qualcosa in Italia – più per l’altrui imbecillità che per le proprie qualità – ma conteranno quanto un due di briscola nell’Unione Europea, nell’Aerea Schengen e nell’Eurozona. 

A chi pensava di poter spendere in ambito continentale – al nuovo grido di «meno Europa, più poltrone» – quella che è stata un’apprezzabile affermazione locale, non è restata che l’arma del ricatto. A cominciare da quell’inspiegabile rifiuto della riforma del MES. Un tabù ideologico giustificato da «un a noi non serve» degno di un titolare di auto blu con autista, pronto a lasciar incendiare l’autobus perché tanto a lui «non serve». Un sassolino vigliaccamente gettato fra gli ingranaggi in grado di minacciare tanto la stabilità che l’apprezzamento sui mercati della valuta Euro. Manovre di palazzo (ma non si erano impegnati a metterci fine?) in attesa di una sperata affermazione delle forze neofasciste e neonaziste nelle imminenti elezioni francesi. Anch’esse, tuttavia, foriere di possibili ribaltamenti entro i confini locali, ma non certo in grado di alterare la composizione del neoeletto Parlamento Europeo. 

L’Italia, insistendo nell’ingiustificabile rifiuto del MES, non fa una bella figura: da Paese fondatore a Paese affondatore. E, quel che è peggio, agisce con metodi mafiosi, anteponendo la famigghjia (locale) all’interesse comune (continentale). Dimostrando di non aver compreso in quale misura lo scenario internazionale sia in velocissima evoluzione (o involuzione), e come quel continente arlecchino che è ancor oggi l’Europa, privo di una politica comune, impossibilitato a parlare con una sola voce, e – quel che è peggio – del tutto disarmato, è l’ultima Unione di Stati rimasta al mondo, insieme all’ONU (screditata, inascoltata e disarmata forse quanto e più della UE), in un’arena dove già vengono alle mani nuovi imperi affamati di potere (Cina, Russia) e Stati confederali (USA, India, Pakistan, Messico, Argentina, Brasile, Australia, Venezuela, Emirati Arabi Uniti, Canada...). 

«O l’Europa si fa Stato — quanto prima, ci sentiremmo di aggiungere — o non avrà alcun futuro», furono le preveggenti parole di Mario Draghi. 

Quell’Europa abitata all’inizio del secolo dal 25% dell’umanità, ma che nel 2050 potrebbe ospitarne meno del 5%. E non, come in passato, la percentuale più evoluta e più ricca. 

Occorre dar vita al più presto ad un vero Stato Federale Europeo, anche se inizialmente limitato a quelle nazioni che liberamente decidessero di aderirvi, così come oggi liberamente scelgono se far parte dell’Unione, e/o dell’Eurozona, e/o dell’Area Schengen. 

Quel che è certo è che non è più tempo di minestre e di minestroni, in un mondo ormai pronto a servire in tavola la seconda portata. 

Che cuoce da tempo. Sotto la cenere. 

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