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Proteste e proposte

Ogni qual volta, in Italia, il meglio si scontra con il peggio, è sempre il peggio ad avere la meglio. 

Lo si è visto con la fine del monopolio televisivo: lungi dall’assistere alla nascita di più ampie e qualificate proposte mediatiche, fatte di cinema d’autore, quiz d’alta cultura, musica e teatro, programmi di alfabetizzazione ed acculturazione, quel che invece s’è visto (ed ancora si vede), è stato l’improvviso irrompere della volgarità, dell’ignoranza, della bruttezza, del turpiloquio promosso a lingua, di una pubblicità non più spettacolarizzata e recintata nei caroselli, ma tracimante ovunque, senza riguardo per chi ascolta. E mamma RAI s’è presto acconciata ad assecondare i maleducatissimi figli in una competizione al ribasso, retrocedendo a quella triste diseducativa imitazione dell’imitazione che sta sotto gli occhi di tutti.  

Non diversamente è accaduto al grande cinema italiano, cacciato dalle sale e precipitato nelle tivù on-demand: ridotto ad un apostrofo marrone tra una réclame e l’altra. Necessariamente (e visibilmente) low-cost

Perché allora meravigliarsi, se nel mal riuscito amplesso fra il partito dei «migliori» (figli di Togliatti) e il movimento dei peggiori (figliastri dell’Insetto Parlante) è ancora e sempre il peggio del peggio a trionfare?

A dimostrazione di ciò, dell’ennesimo trionfo del male sul bene, sta il fatto che nel malriuscito tentativo di accoppiamento non siano stati i cinquegrilli a trasformarsi infine in «partito», ma il partito di Togliatti a regredire invece in «movimento». 

La differenza tra partito e movimento non è da poco. Un (vero) partito produce proposte, e quindi conseguentemente opera per trasformarle in realtà. Un movimento, al contrario, si scagli esso contro il carovita o contro Israele, contro le basse retribuzioni o contro il governo, non può che dar vita a sterili proteste, e a nient’altro: ingiunzioni di demolizione magari urgenti e motivate, mai però accompagnate da un necessario progetto di ricostruzione. Possibilmente migliorativo. 

Si porta il santo in processione (più politicamente ribattezzata «corteo»), si innalzano grida di rabbia e di dolore e si auspica che valida una man dal Cielo li avvii pei floridi sentier della speranza. 

Se poi quella mano dovesse anche distribuire (dal Cielo?) bonus su bonus o floridi redditi di speranza, vorrà dire che quelle accorare preghiere son state esaudite. E via con le autocelebrazioni, con nuovi idoli, con nuove processioni. 

Che mai avrà a che fare una simile congrega di residui umani del passato medioevo con il sogno di Antonio Gramsci, che contrapponeva l’elevazione economica e culturale della classe oppressa alle elemosine dell’Opus Dei o alla pelosa carità dei Rotary e dei Lions?

Nulla. 

Ma dove non può il pensiero, può la fame. Fame di voti. Fame di cadreghe. Fame di fama. Fame di potere. Non così differente da quella che spinse un dì il Faust tra le braccia di Satana, ed oggi un ex partito – che teme persino di guardarsi allo specchio – fra le cinque zampe di un’improvvisata accolita che ha come unico fine quello di mantenersi in vita. Ad ogni costo.

Che sia l’istinto di sopravvivenza il solo collante che ancora tiene in qualche modo insieme gli ex migliori con il peggio del peggio di sempre? 

Possibile. Ma anche nel più improbabile dei matrimoni combinati il problema che prima o poi si pone è chi, tra moglie e marito, debba indossare i pantaloni. 

Forte della sua bistrattata storia, l’ex partito è convinto d’averne diritto per via dei nobili natali, i cinquegatti per una presunta maggior simpatia popolare, certificata a loro dire dalla vittoria in Sardegna e dall’indegnità di alcuni altrui candidati pugliesi. 

Più che il campo, quel che sembra allargarsi è la già ampia distanza fra gli aspiranti coniugi. 

La sola certezza è che il lettone continuerà ad estendersi in ampiezza fino alle prossime elezioni di Giugno, quando il voto proporzionale restituirà l’esatta misurazione metrica della maggiore o minore altezza dei due promessi sposi. E, quel che più conta, le precise dimensioni dei tre don Rodrighi che gli si oppongono. 

Lì si vedrà il futuro del lettone. Vivranno a lungo infelici e scontenti, separati in casa, o sereni e soddisfatti ciascuno sotto il proprio tetto? Partito di concrete proposte il primo, ed urlante movimento di protesta il secondo?

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