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Davide e Golia

Non spetta ai critici musicali recensire i ragli dell’asino. Tanto meno a noi inquilini del Cielo, che aleggiamo tra le nuvole al suono della lira, e a quello ancor più melodioso dell’euro. 

Ci compete però combattere il male: e la menzogna certamente lo è. Come da art. 8 della Costituzione dell’Universo, firmata da Dio e promulgata sul vostro pianeta da Mosè.  

Per questo non possiamo tacere ogni qualvolta un arruffapopoli si imbibe indegnamente la bocca della parola «Europa», intendendo con essa non la conturbante principessa fenicia che Zeus perdutamente amò, ma – secondo la convenienza del momento – ora l’Unione Europea, ora il Parlamento Europeo, ora l’Eurozona, ora il Consiglio Europeo, ora l’Area Schengen... 

Qualsiasi cosa a proprio piacimento, insomma. Purché la si possa additare al popolo come il più feroce dei nemici. 

Che si tratti poi di un nemico assolutamente immaginario, non è certo un difetto, ma anzi un pregio, agli occhi di chi intende agitarlo come un facile spauracchio e successivamente atteggiarsi ad unico salvatore della turba impaurita dei fessi che abboccano. 

Sarà per questo che il salvatore – o meglio: il Salvinatore – dopo aver riunito nella bella Firenze una descamisada congrega di sfigati provenienti da mezzo continente, capaci al medesimo tempo di sparare (sull’Unione) e sperare (in un seggio all’Unione), mentre con una mano finge di armare un battaglione di partitini al 2% da appoltronare a Strasburgo, con l’altra tenta di sfilare la cadrega da sotto le terrestri chiappe della più tosta e assai più vicina nemica. Colei che occupa quel posto che, tra un mojito e l’altro, il Salvinatore è fermamente convinto che dovrebbe invece appartenere a lui. 

Mollato dagli amici Wilders e Le Pen, sfilatisi con un whatsapp e una videochat, presentatisi gli altri impresentabili, i convenuti han presto iniziato a scoperchiare le fogne. 

«Il liberalismo ha fallito, prendiamone il posto», è il credo del fiammingo Annemans. Come dire: l’autista del pullman non ci piace, prendiamone il posto. Senza minimamente specificare né la destinazione finale, né il numero della patente.

«L’Unione Europea è una minaccia per l’Europa», ringhia il bulgaro putiniano Kostadinov. Come se l’Unione avesse il potere di imporre qualcosa agli Stati che ne hanno liberamente sottoscritto i trattati, senza neppure specificare cosa egli voglia intendere per «Europa». L’Unione nemica di se stessa? L’Unione nemica degli Stati che l’hanno costruita? L’Unione nemica di un inesistente «popolo europeo»?

L’austroungarico Vilimsky (nomen omen), tardo allievo di Montale, astenendosi dal dirci quel che realmente vuole, si limita ad elencarci quel che invece non vuole: «Ne abbiamo abbastanza di comunisti, ambientalisti, liberali, giornalisti di sinistra. Noi ce ne infischiamo dell’establishment, dei media, della cultura woke». Infischiarsene, è il suo motto. Obbedienti, gli elettori non attendono che le urne per poter infischiarsi anche di lui. 

Il polacco Fritz lamenta l’arroganza laica, che consente alla donna di «presentarsi come uomo». Sempre meglio dell’arroganza sovranista, che consente di spacciarsi come tale persino al nemico Fritz. 

«Oggi l’Unione Europea è l’inferno. L’inferno perché abbiamo la deindustrializzazione. Inferno perché abbiamo la distruzione delle identità nazionali», latra il rumeno Simon. Come se l’Unione potesse scrivere e imporre leggi ed assumersene la responsabilità, e non invece limitarsi ad emanare direttive che poi ciascuno Stato membro sarà libero di trasformare o meno in legge, così come è anche libero di lasciare quando vuole quell’«inferno». Sbattendo la porta, se crede. Cosa che il nostro competitor Belzebù, che di inferni se ne intende, si guarda bene dal consentire ai propri graditi ospiti. Il Regno Unito, giusto per provarci, lo ha fatto: se n’è andato dall’«inferno». Nessuno, però, lo ha ancora visto affacciarsi quassù in Paradiso. 

«L’Ucraina non può vincere questa guerra, dovrebbero fermarla», sbraita il nazitedesco Chupalla. E fa sorridere quel «dovrebbero», che non specifica alcuna persona, ma sicuramente esclude coloro la pronunciano.

Quanto al Salvinatore, stanco di agitare Vangeli, si è autopromosso agitatore di Bibbie: «Oggi sono qui donne e uomini che sconfiggeranno il gigante Golia, il primo nemico dell’Europa». Due nemici immaginari in una sola frase: Golia (chi?) ed «Europa» (che cosa?). 

Alla prima domanda il Salvinatore in qualche modo si sforza di rispondere: Golia altro non impersona che i «tecnocrati massoni che vogliono distruggere l’identità del nostro continente. Noi del Golia Soros non abbiamo paura, di chi finanzia la distruzione della nostra civiltà non abbiamo paura». Scadendo con tali esternazioni al livello dei più scalcinati complottisti del web, che vedono nel filantropo ungherese allievo di Popper, sostenitore del liberalismo e dei democratici USA, il mostro che lavora per distruggere il continente europeo. Un continente, guarda caso, animato proprio da quelle idee liberali e democratiche che Soros si sforza, a spese proprie, di diffondere. 

E poiché un Golia tira l’altro, come le gustose caramelle che ne condividono il nome, Golia è anche la stessa Unione Europea (ma non ne era il nemico?): un «Golia governato da abusivi». 

Una sparata che contiene insieme un complimento (l’Unione è un gigante»); un’attestazione di sesquipedale ignoranza (perché nessuno «governa» l’Unione, priva di alcun potere esecutivo); un insulto (nessuno nell’Unione è «abusivo»: né il Parlamento, liberamente eletto, né la Commissione Europea, formata da 27 rappresentanti proposti da ciascuno dei 27 Stati membri).

Non invidiamo gli storici che dovranno un dì trarre il succo di questa scomposta kermesse fiorentina. 

Noi, che qui dall’alto possiamo avvalerci di una visione a misura di drone, ci limitiamo a tre brevi annotazioni: 

1) Il detto «Molti nemici, molto onore» ha come ineludibile corollario il fatto che tutte le persone prive di onore sono per definizione conseguentemente prive di nemici. Costrette ad inventarsene uno, tanto vale inventarselo grosso: gli alieni, l’apocalisse nucleare, l’estinzione della specie umana, il Grande Fratello, la NATO o – perché no? – l’Unione Europea. Scegliersi un grande nemico è un’opzione sempre vincente. Se i calciatori del Fanfulla invitassero l’Inter a vedersela sul loro campo, e l’Inter accettasse la sfida, per il Fanfulla sarebbe comunque una strepitosa vittoria, per il solo fatto d’esser riusciti a trascinar la capolista sui prati di Lodi. Dovesse pure il Fanfulla perdere quarantotto a zero;  

2) Chi neppure avverte la contraddizione tra lo screditare pubblicamente un’istituzione e inginocchiarsi di fronte agli elettori elemosinando un voto pur di poterne far parte, o è un bugiardo in malafede, o è un infiltrato suicida bramoso di distruggerla. O è tutt’e due;

3) L’Unione Europea non è uno Stato Confederale con pieni poteri legislativi, esecutivi e giudiziari nelle materie di interesse comune, con una propria Costituzione ed una propria moneta. È una Unione di Stati sostanzialmente fondata su un insieme di trattati di natura per lo più commerciale, liberamente sottoscritti dai Paesi firmatari. 

Non è un condominio, dove ciascun proprietario nelle proprie stanze si comporta come meglio crede, ma non per le scale, in cortile o in ascensore, dove è tenuto ad osservare ogni delibera approvata da un’assemblea in cui ciascun condomino pesa in proporzione ai millesimi di proprietà. 

L’Unione Europea è assai più simile a un circolo del tennis, dove quei soci che scelgono liberamente di iscriversi ne fanno regolare domanda e, se ne son degni, vi sono ammessi. Senza per questo essere in alcun modo coinvolti nella gestione. I campi, gli spogliatoi, gli edifici non sono una proprietà comune, ma un patrimonio sociale gestito da un consiglio di amministrazione che non è tenuto a rispondere ai soci ordinari delle proprie scelte e del proprio operato, ma solo ai soci fondatori.


Inutile dire che la forma giuridica dell’unione non è al momento la ragione sociale più adatta, per chiunque insegua un ruolo da protagonista in un quadro geopolitico in rapidissima quanto incerta evoluzione. 

Non lo è per l’Unione Europea, e neppure lo è per unioni ben più solide e radicate, come l’ONU, che mai come di questi tempi pare procedere a tentoni, fortemente condizionata nelle rare scelte e ancor più nelle troppe non-scelte. 

Occorre al più presto dar vita ad uno Stato Confederale Europeo, dotato di poteri effettivi in materia di Politica Estera, Finanza, Fiscalità, Difesa. 

A sollecitarlo è stato qualche giorno fa un uomo di scienza come Mario Draghi, in luogo di quegli uomini di incoscienza assembrati intorno al David per stramaledire il loro immaginario Golia: 

«Oggi il modello di crescita si è dissolto e dobbiamo reinventare un modo di crescere, ma per farlo dobbiamo diventare uno Stato».

Poche parole. Ma di qual peso. 

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