Giornalista, deputato alla Camera (2001-2019), fondatore e presidente del piddì (2019-2020), ministro con Prodi (2006-2008) e poi con Renzi (2014-2016), quindi Presidente del Consiglio (2016-2018), Paolo Gentiloni è dal 2019 in carica presso l’Unione in veste di Commissario Europeo per gli Affari Economici e Monetari.
A differenza del Presidente della Commissione, eletto a maggioranza assoluta dal Parlamento Europeo, ciascun commissario viene inizialmente indicato dai singoli Stati membri. I nomi proposti son poi soggetti al vaglio e all’approvazione del Parlamento Europeo, particolarmente attento nell'accertare e valutare l’assoluta indipendenza e imparzialità dei candidati. Per ottenerne il gradimento, ad esempio, Gentiloni fu a suo tempo costretto ad abbandonare la carica di presidente dell’Assemblea Nazionale del piddì.
Nominato commissario, Paolo Gentiloni ha sin qui egregiamente svolto il compito affidatogli con competenza ed onore, dando lustro al suo Paese ma sempre rigorosamente ed esclusivamente al servizio dell’Unione. Così come il suo incarico prescrive.
Ciò nonostante, il commissario Gentiloni è in queste ore oggetto di assalti concentrici provenienti in prima istanza dal nobilissimo casato lombardo del Papeete, presto affiancato dall’altrettanto specchiato casato romano della Garbatella.
— Non porta avanti gli interessi dell’Italia — è la fantascientifica accusa a due voci rivolta al nostro Commissario. Che, tradotta dal mojito-garbatellese, suonerebbe un po’ come: — Ha rigorosamente osservato i doveri impostigli dalla sua nomina europea. Non è dei nostri.
Sarebbe inutile spreco di inchiostro attardarsi sulle differenti competenze ed onori dei rami lombardo e romano del governo in carica. Quel che piuttosto merita una riflessione è l’inedita convergenza delle due maggiori forze, fino ad oggi distanti, che quel governo sostengono.
S’è già detto come l’inattesa irruzione di tanti parvenu nella stanza dei bottoni del Paese ricordi certe occupazioni di edifici pubblici da parte dei più sgarrupati movimenti estremisti. Gli occupanti meglio alfabetizzati, felici di avere finalmente un tetto sulla testa, progettano di ripulire il luogo e renderlo più accogliente, confidando di poterci-doverci abitare per lunghi anni. Quelli più ignoranti e caciaroni non hanno invece altro scopo se non quello di depredare l’edificio di tutto ciò che di rivendibile contiene, vandalizzando quel che resta, nella certezza di doverci restare per brevissimo tempo in attesa di altri edifici di cui impossessarsi.
Sembrava, insomma, che un’ala del governo fosse alla ricerca di una sorta di legittimazione – nazionale e internazionale – che sancisse e consolidasse la sua presenza nei Palazzi, sorvolando sul non luminosissimo passato di certi personaggi miracolosamente insediatisi ai vertici del Paese, mentre un’altra parte, animata da più antichi appetiti, puntasse senza vergogna alla cassa per impossessarsene attraverso molteplici bonus a vanvera, ripetuti condoni fiscali, privilegi balneari, subappalti a catena, rottamazioni di debiti, poltrone à gogo.
Era tuttavia comune auspicio che gli agnelli (ahimè finti) avrebbero alla lunga trionfato sui lupi (ahimè autentici). Ma qualche inaspettato fenomeno tellurico deve aver sconvolto il tavolo da gioco e sparpagliato le carte sul tappeto.
L’ala mojito-faccendiera, riscopertasi Balilla, ha impugnato come un sasso l’inatteso successo del compito in classe di Vannacci per scagliarlo in faccia all’ala più garbato-governativa, sfidandola su quei temi identitari che, in differente misura occultati, covano sempre e comunque sotto la pelle di ogni autentico neofascista.
— È inutile che vi diate una pettinata e tentiate d’addolcire le grida! — sembrano voler dire i ritrovati balilla — Sotto la luccicante e colorata carta da regalo non siete che nerissimi topastri come noi. Con in più due dita di trucco e un velo di profumo.
In altri tempi l’ortaggio a capo del governo avrebbe zittito con un tremendo latrato il felpato discotecaro putiniano da spiaggia: — Tu vagone, noi locomotiva!
Adesso, invece, pare preferisca accodarsi: — Sì, noi locomotiva. Ma, in fondo, un po’ locomotiva anche tu.
Scenario che, come ogni ministro delle ferrovie ben sa, presuppone che entrambe le motrici marcino nella stessa direzione e alla medesima velocità. E pazienza se una delle due dovrà stare inevitabilmente davanti e l’altra dietro.
La prossima stazione in vista sarà quella delle elezioni europee, e il pur necessario occhio di riguardo sinora rivolto alle istituzioni comunitarie, nel mese di Giugno dovrà comunque essere incicciato da un risultato elettorale che nascerà (se nascerà) dalle matite copiative e dalle mani che le reggeranno.
Ben vengano dunque i Vannacci, se portano voti, e ben venga qualche sparata antieuropea modello primalitalia! Ancor meglio se ha come bersaglio (apparente) un connazionale sgradito, predecessore dell’armocromista, e non invece quell’Unione per la quale si chiede dopo tutto il voto, ma sulla cui condanna potrà fondarsi la rinnovata alleanza tra alfabetizzati e analfabeti di una destra che non vuole (o non sa) diventare adulta.
Se questa è la nuova rotta, si tratta certamente di un’involuzione: una rinuncia di fatto a governare, per manifesta incapacità, che inevitabilmente richiede un certo numero di capri e capretti espiatori su cui addossare le colpe di un ormai troppo lungo non-fare.
Il rischio è che ogni cosa si fermi e il Paese si avviti su se stesso, in attesa di un Giugno troppo lontano perché un debole governo possa arrivarci in piena salute, e senza neppure la ruota di scorta di una valida alternativa politica in grado di supplirlo.
C’è il rischio concreto che le locomotive diventino sì due, ma senza neanche un macchinista in grado di condurre il convoglio.
Più potere, ma senza una guida.
Per la gioia di chi in Europa e nel mondo altro non attende che la figuraccia planetaria di un’Italia incapace di portare a casa il bottino di quel PNRR così dettagliatamente progettato e tanto faticosamente approvato, per appiccicarci ancora una volta sulla schiena il meritato cartello di eterni inguaribili ed inaffidabili arlecchini.
Commenti
Posta un commento