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Chi rompe, paga?

Può una banda di scalmanati armati di bombole di vernice presentarsi davanti al Senato della Repubblica Italiana e imbrattarne impunemente le mura esterne ed i preziosi infissi?

La risposta è sì. E chi ha prematuramente applaudito la nascita del nuovo governo, confidando in una nuova stagione di ordine, legalità e sicurezza, se non addirittura di treni in orario, ha oggi più d’un motivo per ricredersi. Il cane abbaia, ma si guarda bene dal mordere. E l’assalto alla prima camera del Parlamento, crimine di massima gravità, resta di fatto impunito. Poco più che una ragazzata.

Oltre ciò, come usa nella terra dei Guelfi e dei Ghibellini, alle flebili voci di condanna si son tosto accodati gli strepiti di chi quell’ignobile gesto invece lo difende. In nome di una «libertà di espressione» in virtù della quale non solo i cinghiali hanno diritto di razzolare nelle piazze cittadine, ma le tigri di sbranare e i lupi di depredare. E per meglio difendere l’«ambiente» è giusto umiliare la cultura, alzando di volta in volta il tiro. 

Non solo blocchi stradali, non solo zuppe, pappette e vernici contro le opere esposte nei musei, ma l’attacco a un palazzo delle istituzioni in pieno stile Capitol Hill. Dopodiché non resterà loro che pasticciare il Quirinale o divellere le colonne di piazza San Pietro.

In Senato, intanto, non solo c’è chi se la dorme, ma anche chi se la russa: «Non vogliamo pene esemplari, ma auspichiamo un atteggiamento consapevole dell’importanza dei palazzi istituzionali». Chi dovrebbe incarcerarli e costringerli a ripagare i danni, si limita a lamentare la scarsa vigilanza e a «valutare l’opportunità di contestare eventuali violazioni e chiedere un eventuale rimborso dei danni».

Chi invece li difende non esita a definire «esagerata l’accusa di danneggiamento formulata in prima battuta» e mette a fronte dell’azione criminale la nobiltà del gesto, quasi ci si trovasse al cospetto di novelli Robin Hood, che rubano ai ricchi per donare ai poveri.   

Con la sostanziale differenza che il Senato non è «la casa dei ricchi», ma la casa del popolo italiano, che a rigor di Costituzione si identifica con il Parlamento. Chi è nemico del Senato è dunque automaticamente un nemico del popolo, e come tale dovrebbe essere perseguito e punito.

Dovrebbe. 


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