Passa ai contenuti principali

La pacchia

Fra le molte promesse tradite dal nuovo governo che tanto nuovo non è, la prima ad affondare tra le fameliche fauci dei neoappoltronati è stata quella «fine della pacchia» prematuramente annunciata, con strilla a salve, dalla neopresidenta Meloni: ortaggio e ostaggio della  vorace malapolitica che le brulica intorno. 

La pacchia, in realtà, è appena iniziata. Per alcuni.

Ce lo conferma la neoministra agli Affari Propri, quando auspica l’occupazione di quei pochi metri di demanio marittimo ancora liberamente accessibili: sottraendoli a quelli che in tempi non sospetti venivano chiamati «bagnanti» ma che la ripulitrice di spiagge chiama oggi «tossicodipendenti», a dispetto dei quintali di coca che animano le giornate di chi invece frequenta certi pretenziosi stabilimenti balneari. Il dichiarato intento è quello di salvaguardare l’«italianità degli spaghetti con le cozze in riva al mare», assediati dalle «multinazionali» desiderose di spacciare invece birre e panini. Quasi che gli italianissimi chioschi dei trafficanti di ombrelloni servissero invece sui loro tavolacci qualcosa di diverso.

Ma la pacchia è iniziata alla grande anche per chi vuole (continuare ad) evadere ogni genere di tassa o imposta: non solo è stata impedita la tracciabilità elettronica delle transazioni e quintuplicato l’importo massimo di ogni pagamento in contanti, ma son state cancellate le vecchie cartelle esattoriali, con l’implicita promessa di simili futuri condoni. 

Pacchia anche per chi, più modestamente, non aveva e non ha ottemperato all’obbligo vaccinale, mettendo a rischio l’altrui salute, inclusi quei sedicenti medici e infermieri che il vaccino l’hanno deriso e combattuto. Il demonio attende preti e sagrestani colti a bestemmiare in chiesa, ma nulla è dovuto da medici e infermieri sorpresi a bestemmiare non solo in corsia, ma anche su giornali, web e tivù. 

Pacchia in arrivo anche per anche per chi commette illeciti nella gestione del bene pubblico, con la proposta di cancellazione del reato di abuso d’ufficio, nonché di libero accesso alle cariche istituzionali anche per i condannati in primo grado per gravi colpe, che oggi ne sono esclusi. 

Pacchissima anche per squadristi e gruppi eversivi, per i quali si propongono quaranta giorni di addestramento militare all’uso delle armi, su base volontaria ma a spese dello Stato.

Superpacchia anche per le partite IVA in regime forfettario, che vedono elevato il massimale fatturabile a tassazione irrisoria. 

Per chi è davvero finita, invece, la «pacchia»? 

Certamente per quei partiti convinti di godere per grazia divina dell’ambito dono dell’inamovibilità. Oltre che dell’impunità.

Parzialmente finita per i percettori di quei redditi «di cittadinanza» (sebbene accessibili anche a chi cittadino non è) che nel meridione d’Italia han sostituito quel reddito di manovalanza un tempo assicurato dalla criminalità organizzata, ormai trasferitasi nel settentrione. 

Fortunatamente finita per chi, pur guadagnando cinquecento euro l’ora, intascava quei cinquecento euro all’anno nati per sostenere la «cultura» e morti nell’acquisto di tablet e telefonini con cui giocare in classe. 

Finita anche per chi sperava, pagando le tasse, di veder migliorati servizi essenziali come istruzione, sanità, assistenza, strade, ferrovie, porti e aeroporti: l’ordinaria amministrazione non porta voti, le vere o false emergenze invece sì.

La pacchia, insomma, iniziata per alcuni e terminata per altri, non è «finita»: si è soltanto spostata. Come sempre è avvenuto nel corso della lunga Storia umana. 

Sempre e dovunque polizie ed eserciti hanno protetto i «buoni» e perseguitato i «cattivi». Ma è la politica a decidere, deliberando e legiferando, chi di volta in volta sono i buoni, e chi i cattivi. E la politica, spesso, cambia.

C’è una sola domanda che è legittimo e doveroso farsi, astraendosi dal confronto partitico e guardando con occhi mattarelliani al solo esclusivo interesse del Paese: i «buoni» di oggi saranno più o meno capaci, rispetto ai buoni di ieri, di migliorare la posizione dell’Italia nei molteplici contesti internazionali di cui fa parte? 

I segnali che per ora ci è dato di cogliere sono alquanto contraddittori: bene il saldo posizionamento atlantico, male i mugugni – o, ancor peggio, i silenzi – di chi nella maggioranza continua a pescar monetine dal salvadanaio del nemico; bene una manovra finanziaria sostanzialmente nel solco draghiano, male le troppe regalie e gli immotivati condoni; bene i segnali eurofederalisti, male gli immotivati sussulti di paleonazionalismo; bene le promesse di legalità, male le strizzate d’occhio a troppe conclamate illegalità... 

Una forza di opposizione capace di visione e proposte, nulla potrebbe desiderare di meglio che misurarsi contro un governo siffatto: debole, incerto, corrotto, inesperto, ignorante, frammentato e diviso. Non sarebbe neppure una lotta, ma – per qualsiasi opposizione – un'autentica pacchia!

Se solo un’opposizione esistesse…  

Commenti

Post popolari in questo blog

Elogio del «Non ancora!»

Se solo gli umani sapessero quanto tutto quel che più li preoccupa appaia più chiaro, visto da quassù!  C'è voluta qualche decina di migliaia di anni prima che i terrestri accettassero l'idea che la Terra fosse tonda (e molti ne restano ancora da convincere). A noi, da quassù, è sufficiente affacciare il naso  fuori  dalla nuvola per osservare il pianeta ruotare maestoso nel cielo.  Allo stesso modo ci stupiamo nel vedere i suoi abitanti consumare in sterili diatribe buona parte delle loro altrimenti fortunate esistenze.  Ed è buffo che spetti a noi, che vivi più non siamo, insegnare come vivere ai viventi!  Non meravigliatevi dunque se tra i nostri compiti vi è anche quello di elargire di tanto in tanto qualche angelico consiglio.  Il suggerimento di oggi è che gli umani aboliscano definitivamente l'uso del SÌ e del NO. Causa prima e perniciosissima di gran parte dei loro mali.  Dicono i Romani (queli de Roma, no' queli de Caligola): «Con un SÌ ti impicci, con un NO ti

La Quarta Europa

Mentre dalle frontiere ucraine i venti di guerra bussano prepotentemente alle porte, l’Unione Europea – o, per meglio dire, alcuni degli Stati membri, in particolare la Francia – avvertono l’urgenza di rafforzare la difesa europea, più che dimezzata dopo la Brexit e frantumata in 27 eserciti che non comunicano tra di loro. Uno solo dei quali (quello francese) dotato di armamenti moderni e basi all’estero, ed altri – come in Italia e in Germania – ancora limitati dai trattati di pace del 1947. A voler parlar sinceramente, una vera Difesa Europea non esiste. Esistono eserciti nazionali, mal coordinati ed in diversa misura armati. Forse capaci di distinguersi in circoscritte missioni di pace o di ordine pubblico, ma non certo in grado di rispondere in modo efficace alle crescenti minacce di una o più grandi potenze nucleari.  Come di fatto in questi giorni avviene.  Esiste una NATO, certo: un’alleanza difensiva sovraeuropea mostratasi in grado di proteggere il continente per un tempo fin

Dieci sconfinate menzogne

1) Le frontiere fra nazioni non hanno più alcuna ragione di esistere. Chi davvero lo pensa, dovrebbe per coerenza lasciare aperto di notte il portone di casa.  Quel che fa di un edificio un’abitazione son proprio le presenze umane che lì ci vivono, e il portone di casa è il limite che segna il confine tra il mondo di dentro (tendenzialmente amico) e il mondo di fuori (tendenzialmente nemico).  Starsene in casa propria non significa però autocondannarsi agli arresti domiciliari. Il portone lo si apre più d’una volta: per accogliere le persone gradite che vengono a farci visita, ma anche chi lo varca per ragioni di lavoro, dal portalettere all’idraulico. Talvolta anche per il mendicante che bussa alla porta in cerca di qualche elemosina.  Resta però ben chiuso di fronte a chi pretende di entrarvi di nascosto e con la forza. Peggio ancora se nottetempo, dal balcone o dalle finestre.  C’è un campanello. Suonarlo significa chiedere il permesso di entrare. Concederlo o meno, resta una prerog