Non soltanto la dea bendata (forse proprio a causa della benda) ha fatto sì che il proiettile fatale lambisse Donald Trump a pochi centimetri da quel cervello comunque difficile da scovare e centrare, ma la foto simbolo dell’evento, distesa a tutto campo sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo, vale da sola dieci campagne elettorali.
Per una straordinaria quanto casuale combinazione di luci, movimenti e pose, la foto ha una forza comunicativa difficile da ottenere persino in un teatro di posa hollywoodiano.
La bandiera in alto alle spalle, il cielo terso, l’ammucchiarsi delle guardie a protezione dell’«eroe», la ripresa dal basso ne fanno quasi una versione aggiornata a colori del celebre monumento alla vittoria di Iwo Jima, ad Arlington.
Sempre per non volute coincidenze, non c’è nella foto un colore che non sia quello della bandiera USA: il blu delle giacche, il bianco delle camicie e persino le strisce rosse di sangue sulla gota destra del portatore sano di una fortuna degna del lato B di una Oba Oba al carnevale di Rio.
Mentre i gorilla dagli occhiali scuri guardano verso la folla, l’«eroe» è il solo che volge lo sguardo al cielo, accompagnato da un gesto di sfida e un grido di incitamento.Forse il Paese non è con lui (chi non spara, lo spera), ma la Fortuna certamente lo è, se è vero che dalle case di legno e cartone del Queens, dove è nato, è riuscito a proiettarlo prima sulla 5th Avenue ed infine alla Casa Bianca. Alla quale mostra d’esser particolarmente affezionato.
La parola passerà presto dai fucili alle matite, dalla mancata urna cinenaria all’imminente urna elettorale. Dove la casella di Trump è oggi un po’ più grande di ieri, e quella di Biden ogni giorno più piccola.
Possibile che il voto di trecentotrentatré milioni di Americani finisca per contar meno della discutibile opinione di una volubile signorina dagli occhi bendati?
O la benda ricopre piuttosto – già da tempo – gli occhi di molti (troppi) di quei trecentotrentatré milioni?
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