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«Frociaggine»

Può una parola sola riempire le prime pagine dei giornali, quando otto colonne su nove attendono ansiose i reportage di una guerra in continua espansione e le lame affilate di una competizione elettorale europea? 

La risposta è , se a pronunciare quella parola è stato il Papa. E se quella parola è «frociaggine». Tradotta: il non insolito ma vasto e preoccupante diffondersi di tendenze omosessuali nei seminari, dove storicamente più d’un seminarista è stato nei secoli più volte inseminato. 

Il concetto è chiarissimo, il termine forse inappropriato, se affacciatosi sulle labbra di un Papa. Ma va da sé che, pur essendo il Papa il monarca assoluto dello Stato del Vaticano, è anche vero che è pur sempre il vescovo de Roma, e in quanto tale contaminato da quel gergo popolaresco assai familiare alle Garbatellesi, che ci vivono, ma non altrettanto agli Argentini. 

Così, durante una riunione a porte chiuse (non troppo, a quanto pare) sullo stato dei seminari e sull’opportunità di accogliere al loro interno nuovi adepti dichiaratamente omosessuali, sembra che il Papa abbia espresso un forte parere contrario, giustificandolo con l’indiscutibile fatto che all’interno di quei luoghi c’è già «troppa frociaggine», scusandosi tuttavia il giorno seguente per la potenziale offensività del vocabolo. 

Va da sé che il mestiere del Papa è quello di fare il Papa, e dunque seguire alla lettera il dettato della Bibbia – da Sodoma a Gomorra – ma anche quello del Vangelo che, al contrario, tutto perdona e molto concede. 

Così, le molte aperture di Francesco nei confronti delle comunità gender son state forse interpretate da molti come una sorta di lasciapassare, piuttosto che una manifestazione di cristiana comprensione e tolleranza. Grande è stata dunque la delusione di quel mondo, nello scoprire che amare non significa giustificare, quanto piuttosto perdonare. 

Anche la Chiesa ha la sua fetta di colpe, non avendo mai messo in dubbio l’obsoleta norma del celibato dei preti: i soli a non potersi giovare di quel matrimonio che solo il Cattolicesimo considera un sacramento, mentre son liberi di sposarsi i pastori di quel Protestantesimo che, al contrario, non lo riconosce come tale. 

Una contraddizione non da poco, come tutte le contraddizioni destinata prima o poi ad esplodere. 

Quella che invece pare a molti sfuggire, è la sostanza sovrastrutturale delle teorie gender, frutto della Storia – dunque della Cultura – piuttosto che della Natura, che pare pensarla in modo diverso.

La condanna o la tolleranza dell’omosessualità sono pertanto atteggiamenti strettissimamente legati all’evolversi o all’involversi dei tempi. 

Era tollerata l’omosessualità negli antichi eserciti greci e romani, costretti per mesi od anni ad una forzata convivenza tra maschi, e De Gregori cantò la mutante omosessualità dei marinai, pronta a virare in irrefrenabile eterosessualità non appena toccato un porto. E quando in Italia il fascismo perseguiva l’obiettivo degli «otto milioni di baionette» in assetto di combattimento, tutto quel che ostacolasse la natalità era severamente punito: dall’omosessualità agli anticoncezionali, dall’aborto al celibato (tassato a partire dai 28 anni).

Al contrario, in un mondo la cui popolazione ha appena superato gli otto miliardi, è oggi visto di buon occhio tutto quel che serve a limitare la natalità: dai matrimoni sempre più tardi ed in calo fino alla scarsa riproduttività, dalla libertà di genere ad ogni sorta di mezzo anticoncezionale. 

Nulla di cui meravigliarsi, dunque, se in un vicinissimo domani, alla vigilia di una lunga stagione di guerre, la necessità di nuove generazioni pronte a combattere dovesse ribaltare il trend e orientarsi verso una politica di incentivazione delle nascite, con una conseguente restrizione dei diritti di cui oggi godono le comunità arcobaleno. 

È la Storia che detta i comportamenti, e non viceversa. Una pandemia ha chiuso in casa miliardi di persone, la sua fine le ha liberate. La meccanizzazione dell’agricoltura ha reso inutili le braccia sui campi, ma la spinta verso le coltivazioni biologiche potrebbe renderle nuovamente necessarie. 

Ed anche la Chiesa – chissà – al cospetto di una crisi vocazionale su larga scala, potrebbe forse un giorno ritrovarsi costretta a consentire l’accesso al sacerdozio delle donne.

Per adesso, si accontenta di contrastare come può quel che definisce come l’inarrestabile dilagare di un’inattesa epidemia di «frociaggine». 


Commenti

  1. Sono abbastanza d'accordo ma per favore informatevi meglio prima di parlare di "teorie gender": esistono solo nella mente degli estremisti religiosi

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