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Cartucce a salve

Cessare il fuoco? Nulla di più semplice: sarebbe sufficiente che Hamas liberasse senza condizione alcuna gli ostaggi sopravvissuti che illegalmente detiene. Ma i terroristi di Gaza si guardano bene dal farlo. 

A volerla dir tutta, il fuoco nell’area era cessato già da molti anni. Pur non guardandosi di buon occhio, Palestinesi e Israeliani riuscivano in qualche modo a convivere, mescolandosi sui medesimi territori come un tempo in America pellerossa e coloni, alternando lunghi periodi di forzata pace ad atroci episodi di tensione e di guerra.

A riattizzarlo, quel fuoco, ci ha pensato Hamas. Con le distruzioni, i rapimenti e i massacri del 7 Ottobre. Azioni tali da cancellare per sempre lo status di essere umano di cui indebitamente si fregiavano le bestie che le hanno poste in essere, schifate persino dagli stessi Palestinesi. Quelli veri. Quelli che non scavano tunnel ma conducono una vita di famiglia e lavoro nelle città di Gerusalemme o di Tel Aviv, come nei villaggi della Cisgiordania.

° ° ° ° °

La risoluzione ONU votata ieri con l’astensione USA impone (imporrebbe) oggi ad Hamas di rilasciare incondizionatamente tutti gli ostaggi civili e por fine ai bombardamenti, e ad Israele di rinunciare all’azione militare tuttora in corso contro Hamas e il milione di seguaci che attivamente lo sostiene.

La risoluzione ONU non è però che una cartuccia a salve, una mission impossible, oltre che uno schiaffo alle ragioni di Israele. 

È chiaro al mondo che Hamas non rilascerà mai nessun ostaggio e che Israele continuerà a cercarli nel tentativo di riportarli a casa. Inseguendo ovunque i rapitori, anche a costo della vita. 

Il prevedibile risultato della risoluzione, l’unico, sarà da un lato l’inasprirsi delle relazioni tra USA e Israele (come dimostra l’immediata cancellazione del previsto odierno incontro a Washington tra i portavoce americani e israeliani), dall’altro un ulteriore danno all’immagine e alla credibilità dell’ONU, ogni giorno sempre più schierata contro Israele al fianco di quello che un tempo era chiamato il Sud del mondo.

La risoluzione ONU finirà con l’essere ignorata, non diversamente dalle precedenti, sia da una parte che dall’altra. Perché si fonda sul falso presupposto che l’azione di Israele sia una «guerra», ossia uno scontro fra Stati. Come invece non è. 

° ° ° ° °

Hamas non è uno Stato, per fortuna del pianeta, ma un’amministrazione locale di stampo mafioso che dal 2007 ha convogliato miliardi di dollari di aiuti umanitari nella fortificazione del territorio, nell’acquisto di sofisticati armamenti, nell’oppressione della minoranza dissidente, nell’arricchimento personale, nelle minacce armate ai territori confinanti. E che il 7 Ottobre ha posto in essere, a solo scopo provocatorio, la più disumana delle stragi che Israele abbia mai subito sul proprio territorio. Proprio nel momento in cui Israele si accingeva a stringere accordi commerciali e di pacifica convivenza con i più illuminati tra i Paesi confinanti, desiderosi di instaurare patti duraturi di cooperazione e di pace. Quella pace che Hamas teme ed ostacola, ben sapendo che essa significherebbe la sua fine.  

Quella in cui oggi Israele è militarmente impegnata non è una guerra, ma un’azione di rivalsa tesa alla liberazione dei propri cittadini (i pochi sopravvissuti) rapiti, imprigionati, torturati e costretti sottoterra: come valuta pregiata chiusa a tripla mandata nel sorvegliatissimo caveau di una banca, in attesa d’essere impiegata nei traffici più immondi. 

Chiamarla «guerra» non è che un ulteriore regalo ad Hamas, perché significa conferire dignità di Stato ad un piccolo regime criminaldittatoriale che Stato non è e mai lo sarà, odiato persino dai propri connazionali.

Chiedere ad Hamas di liberare gli ostaggi è come chiedere al ladro di spargere al vento le banconote rubate, rinunciando al bottino. 

Chiedere ad Israele di interrompere la caccia in attesa che Hamas si ravveda e compia quel gesto che neppure le bombe hanno convinto a fare, non è che una pia ed ingenua illusione.

Israele non può che continuare a combattere. Per riparare a un torto e per ristabilire la pace. La propria e l’altrui. E lo fa a viso aperto e con le proprie bandiere. 

Anche Hamas è costretto a combattere. Per poter restare ricco e impunito. E lo fa nel più vigliacco dei modi, senza bandiere né divise, intanandosi tra scuole e ospedali, indistinguibile dalla popolazione civile.

Ci vorrà quel che ci vorrà, ma Hamas sarà sconfitto ed estirpato, insieme col pericolo che esso rappresenta per l’intera regione.

A meno che, come da risoluzione ONU, Hamas non disponga tra oggi e domani il «rilascio incondizionato degli ostaggi». 

Quella sì, potrebbe certamente leggersi come la vera parola «fine». 

Ma non spetta ad Israele pronunciarla.


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