Quel giorno di primo autunno lo Stato di Israele ha subito non soltanto un attacco terrorista, ma un’offesa e uno sfregio.
Se la doverosa risposta a un attacco è un contrattacco, ad uno sfregio si risponde con un maggior sfregio. Come oggi si profila (e quale infine sarà) la distruzione della città di Gaza, maggior centro abitato nella Striscia e sede del governo locale di Hamas.
Lo impone il testo sacro di Israele, la Bibbia: non l’evangelica altra guancia, ma il biblico occhio per occhio e dente per dente.
Una reazione proporzionata ad un gesto smisurato, è una risposta altrettanto smisurata. Chi ha acceso un fuoco così grande da non poter essere controllato, non si meravigli poi se quel medesimo fuoco finirà col divorarlo.
2. Israele opprime ed affama i Palestinesi della Striscia di Gaza.
Falso. Sin dal 2005, cacciati con la forza per mano di Israele gli ultimi insediamenti ebraici nell’area, il popolo della Striscia si è ritrovato libero di amministrarsi e condursi come meglio crede.
Gaza non è mai stata, come troppi sostengono, una «prigione a cielo aperto», perché se è pur vero che Israele ha rafforzato per ragioni di sicurezza i confini con la Striscia, altrettanto ha fatto il Paese «amico» della Palestina: l’Egitto. Ma resta comunque aperta la via del mare.
Se Gaza è una «prigione, allora lo è anche l’Italia, chiusa com’è tra il Mediterraneo e le Alpi.
Nel suo status di assoluta indipendenza, quasi una prova generale di possibile Stato palestinese, Gaza ha fallito: in 18 anni di indipendenza tutto quel che ha saputo costruire è uno Stato paramilitare dove si respirano rancore e miseria, che tiene in vita gli abitanti solo grazie agli aiuti umanitari dell’ONU, dei Paesi occidentali e del medesimo Stato ebraico. Non certo dei Paesi «amici», più interessati alla distruzione di Israele che non al benessere dei Palestinesi: carne da cannone per i loro oscuri traffici.
3. La potenza militare di Israele è schiacciante nell’area.
Falso. Persino l’Egitto e l’Iran dispongono di eserciti ben superiori, in uno scenario dove è impossibile l’utilizzo di armamenti nucleari, la cui dimensione distruttiva finirebbe col colpire i circostanti Paesi amici.
La forza di Israele non sta tanto nelle armi quanto nella determinazione e nell’addestramento dei propri soldati, formati durante un servizio di leva di ben tre anni per gli uomini e due per le donne: Israeliani che difendono a testa alta la propria indipendenza, senza esser costretti a ricorrere – come certi governi odiati dai loro stessi popoli – all’aiuto prezzolato di mercenari, carcerati, coscritti, avventurieri, terroristi.
Quanto agli aiuti esterni, Israele ne ha sulla carta assai meno di quanti non ne abbiano invece i Palestinesi, coccolati da Arabi, Turchi, Persiani, Russi, Cinesi. Quelle di Israele, tuttavia, sono alleanze vere, con amici veri: fondate non sulla convenienza del momento ma sulla comune visione di un mondo fatto di uomini liberi, non di padroni e schiavi.
4. L’obiettivo di Israele è lo sterminio di tutti Palestinesi, a cominciare dai bambini.
Falso. Se ciò fosse vero, anche Israele avrebbe programmato assalti di sorpresa, cogliendo come Hamas la popolazione civile disarmata nel sonno o intenta a godersi il giorno di riposo, anziché metterla sull’avviso con venti giorni di anticipo, invitandola a rifugiarsi altrove.
Nessuno preannunciò l'attacco ai 1.400 Israeliani proditoriamente uccisi: quelli sì vecchi, donne, invalidi, bambini e neonati, del tutto ignari dell’incombente minaccia. E nessun Palestinese risulta fino ad oggi esser stato vigliaccamente preso in ostaggio, nonostante Israele abbia sul proprio territorio la possibilità di catturarne a milioni, per poi magari scambiarli con i 224 concittadini rapiti dai tagliagole di Hamas.
Non lo ha fatto, e non lo farà.
5. Israele è «di destra» e la Palestina è «di sinistra».
Falso. Di destra era il governo Netanyahu, oggi sostituito da un governo d’emergenza destinato a durare non oltre il termine delle operazioni belliche. Non certo Israele.
Netanyahu è stato contestato più duramente dagli stessi Israeliani che non dai Palestinesi, schiacciati sotto il tallone del corrotto governo dell’ottantottenne Abū Māzen e, in minor parte, schiavi consenzienti del sanguinario governo di Hamas.
C’è un solo possibile metro per valutare cosa realmente oggi sia «destra» e cosa invece «sinistra», e questo metro è il Progresso. Una vera sinistra, oggi, o è autenticamente progressista, o non è tale. Intendendo per Progresso il poter vivere oggi meglio di ieri, domani meglio di oggi.
La vera domanda è dunque: i governi palestinesi sono stati sì o no in grado di far progredire il loro popolo? Gli abitanti di Gaza vivono meglio oggi, sotto le bombe, o vivevano meglio prima del 7 Ottobre?
Le distruzioni in atto, così come la mancata accettazione della soluzione dei due Stati, le azioni terroriste, il basso livello di vita, la totale dipendenza da aiuti umanitari stranieri lasciano propendere per un no.
E, senza progresso, non c’è e non ci sarà mai «sinistra».
6. Israele è comunque il solo responsabile di ogni male, in quanto corpo estraneo infiltrato dall’Occidente in una Palestina altrimenti destinata a diventare un giardino di delizie.
Giardino di delizie, la Palestina non lo è mai stata. Terra di conquista invece sì. Sempre.
Occupata nell’antichità da Cananei, Egizi, Ebrei, Assiri, quindi dai Babilonesi, fece parte dell’Impero Romano fino alla caduta. Dopodiché entrò a far parte dell’Impero di Bisanzio, fino a che l’espansione araba non ne fece una popolazione di religione islamica.
Occupata per tal motivo dai Crociati, la Palestina fu in breve «liberata» dall’Impero Ottomano, che la tenne sotto di sé per più di sette secoli.
Svanito l’Impero turco sotto i colpi della Grande Guerra, la Palestina fu assegnata dall’ONU alla Gran Bretagna, potenza vincitrice.
Fu proprio sotto il protettorato britannico che un numero crescente di Ebrei scelse di trovar rifugio in quella nuova liberata Terrasanta.
Nel secondo dopoguerra, nell’intento di offrire una sorta di risarcimento all’immensa tragedia sofferta dal popolo ebraico, l’ONU votò la spartizione della Palestina in due regioni (ris. 181/1947), una delle quali destinata alla costituzione di uno Stato di Israele.
La ferma opposizione della Lega Araba alla divisione delle terre non impedì a Israele di proclamarsi Stato. Esattamente il 14 Maggio del 1948: un giorno prima che scadesse il mandato ONU alla Gran Bretagna e la Palestina diventasse terra di nessuno.
Poche ore dopo, la potente Lega Araba dichiarò guerra ad un Israele ancora in fasce, poco più di una comunità di contadini che parlava lingue diverse e sostanzialmente disarmata.
Fu la prima di una serie di battaglie, dalle quali lo Stato ebraico uscì sempre vittorioso. Nonostante la schiacciante disparità di forze a suo sfavore.
Se in quel Maggio 1948 Israele non si fosse costituito in Stato, assai probabilmente il mandato ONU sarebbe stato rinnovato alla Gran Bretagna, o assegnato alla Francia, o ad entrambe le potenze vincitrici.
Non certo ad una Palestina che Stato non era, ma solo la piccola parte di un Impero Ottomano sconfitto in battaglia e per sempre dissolto.
Se la lega Araba avesse accettato la risoluzione ONU del 1947, i due Stati sarebbero immediatamente divenuti realtà.
Ma se anche i Palestinesi avessero di buon grado accettato la presenza ebraica, avrebbero comunque migliorato la loro esistenza: anziché sudditi ottomani e poi sudditi di Sua Maestà britannica, sarebbero infine divenuti cittadini di una libera repubblica parlamentare che avrebbe offerto loro quelle garanzie e quella rappresentanza di cui mai avevano in precedenza goduto.
Non andò così.
7. Le piazze del mondo, da Londra a Teheran, stanno coi Palestinesi e non con Israele.
Vero. Ma si tratta appunto di piazze. Affollate all’inverosimile – negli Stati islamici – dai fedelissimi anticristiani ed antiebraici, e – nei Paesi occidentali – non certo dalle classi dirigenti o dai membri del governo, quanto da una sempre più folta quanto insoddisfatta base islamica, sul cui fuoco soffiano un po’ tutti gli oppositori, dagli anarchici ai no-vax, dai terrapiattisti ai neofascisti di Forza Nuova, dagli ex-terroristi rossi ai penitenti dell’ambientalismo. Uniti dal comune desiderio di individuare un qualsiasi capro espiatorio a cui addebitare le colpe dei propri epici insuccessi, per poi linciarlo sulla pubblica piazza con parole ed immagini.
Si può star tranquilli che se qualcuno chiedesse loro di riempire lo zaino e recarsi a Gaza per combattere, o anche soltanto per dare una mano, in un istante quelle piazze si svuoterebbero.
E non certo in direzione di Gaza.
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