Il primo raggiunge il proprio scopo accondiscendendo con gentilezza a chiunque, se necessario anche ai peggiori nemici. Il secondo persegue il proprio fine ostentando ovunque la propria ferocia, persino con i migliori amici.
Due opposti atteggiamenti la cui distanza è plasticamente emersa al recente vertice di Samarcanda, che ha visto riuniti al medesimo stesso tavolo i rappresentanti di Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, con la presenza a margine di numerosi osservatori di altri Paesi dell’area.
Protagonisti da un lato un Xi Jimping mercante che non lesina sorrisi a Putin promettendogli con una mano eterna amicizia e negando con l’altra l’invio di armi ed ogni altro sostegno attivo, dal lato opposto un Putin ridimensionato ma proprio per ciò fermamente intenzionato a non cedere.
La sua guerra la Cina preferisce combatterla sui mercati, scambiando con euro e dollari le dodici ore di lavoro quotidiane di un miliardo e mezzo di Cinesi, con un occhio ben puntato sui prossimi due miliardi di Africani, bisognosi di tutto, e i piedi già saldamente ancorati in Etiopia con forti propaggini in Egitto, secondo partner commerciale nel continente.
Una musica non diversa giunge da un’India emergente che alle tradizionali produzioni agricole, tè e cotone in testa, somma i profitti di un’industria automobilistica in forte crescita, con marchi del peso di MG, Hyundai, Renault, Nissan, Datsun, Mitsubishi, Ford, Jeep, Honda, Toyota, KIA, Volkswagen, Skoda, Audi, Jaguar, Land Rover, BMW, Mercedes.
La propria guerra (Operazione Militare Speciale) Putin la conduce invece con vecchie armi scassate, militari corrotti e truppe mercenarie raccattati qua e là, Senz’altri ideali che vadano oltre le peggiori sevizie e i sistematici saccheggi.
Quale accordo potrebbe mai esser possibile tra chi costruisce e chi distrugge? Tra chi guarda al futuro e chi invece rimpiange un immaginario passato? Tra competenze e crudeltà? Tra imperialismo e colonialismo?
Perché di questo infine si tratta: di una Cina imperialista che mira a conquistare nuove clientele per i propri prodotti, e di una Russia colonialista che si accontenta di impadronirsi delle ricchezze di un Paese confinante, massacrandone la popolazione.
La Storia, prima di ogni altra considerazione, ci insegna come l’imperialismo abbia miglior futuro del colonialismo. Il dominio imperiale deve forzatamente assicurare un certo margine di benessere ai popoli sottomessi col debito, prima ancora che con le armi, così che possano vivere, moltiplicarsi e consumare una quantità crescente di prodotti. Il dominio coloniale, una volta depredato di ogni risorsa il Paese arbitrariamente invaso, si esaurisce e si estingue da sé, cessata ogni ragione d'esistere.
Samarcanda ci parla di un mondo dove i mercati sono ancora ben vivi, unica speranza di futuro (e di presente) per una popolazione mondiale abnormemente cresciuta fino a otto miliardi di abitanti. E di una globalizzazione, prematuramente data per molta e sepolta, ma che forse è soltanto ferita, seppur gravemente. Da un feritore che ha un nome e un cognome. E un non luminosissimo futuro davanti.
La buona notizia è che metà degli abitanti del vostro divertente pianeta pare averlo capito.
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