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Progredire

Anche l’asino, quando raglia, una nota musicale involontariamente la emette. Una sola, s’intende: cosa che differenzia l’asino da Beethoven. Ma pur sempre una nota.

Allo stesso modo anche Salvini, quando dà fiato alla bocca, è possibile che esprima a sua insaputa un’idea in qualche misura condivisibile. Una sola, s’intende. Una per decennio. Ma pur sempre un'idea.

È per questo che quassù si guarda con interesse alla proposta di portare a termine la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, in gran parte già progettato. 

— È un’opera inutile! — sbraitano gli autoetichettatisi «progressisti», fautori in realtà di infinite decrescite infelici, mentre sventolano i loro rapporti costi-benefici. Quasi che un sogno lo si potesse misurare con metro e bilancia, alla maniera dei mercanti, e non da sognatori e visionari: soli ed unici artefici di ogni vero progresso.   

Ignorano, i poveretti, che nulla è più utile delle opere inutili. 

Cosa sarebbero Parigi senza la Tour, New York senza la Liberty, San Francisco senza il Golden Gate? E a che pro la fontana di Trevi, in luogo di un lavatoio o di un abbeveratoio, se la sua «utilità» d’altro non necessiterebbe che d’una mal disegnata vasca e d’un bocchettone di bronzo? E a che servono il David a Firenze, o le ricche facciate barocche, o gli affreschi alle pareti, o i marmi sui marciapiedi? E perché spender tempo e risorse nell’intarsiare un mobile o impreziosire l’elsa della spada, senza che la lama ne tragga alcun utile, alcun vantaggio? E a chi o a che cosa possono mai servire i gioielli?

Nessun ponte sarà mai più costoso e «inutile» di un gioiello, eppure non esiste civiltà, dal Paleolitico ad oggi, che dei gioielli abbia saputo e potuto farne a meno. Perché i preziosi servono ad attrarre l'attenzione del mondo, altrimenti distratto, per concentrarla sulla persona (o la nazione) che li indossa.

Inutilissimo gioiello architettonico, il ponte sullo Stretto potrebbe rivelarsi ben più proficuo di cento Casse del Mezzogiorno, ai fini della rinascita del Meridione d’Italia. Divenendo in breve non soltanto un possente richiamo culturale e turistico, ma anche un simbolo identitario intorno al quale raccogliere e riunire le forze più sane e più vive operanti nella regione. Una bandiera della quale andare orgogliosi, capace di oscurare antichi pregiudizi ed aprire nuovi orizzonti.  

Solo i taccagni e i poveri di spirito cercano in ogni loro azione l'«utilità», ovverossia nient’altro che il loro misero utile. I generosi e i grandi inseguono invece splendore e bellezza: quel plusvalore gratuito, quel lavoro in più che impreziosisce ogni azione ed ogni oggetto. Quell’arte, quel gusto, quella moda, quel design, quella ricerca del buono e del bello che ancora onorano l’Italia nel mondo.

Nulla è più necessario in questo particolare momento storico di un’opera capace di restituire orgoglio e fiducia a un Paese che non appare più in grado di costruire un solo chilometro di strada asfaltata o dieci metri di marciapiede, che non sa più raccogliere la spazzatura o vigilare un quartiere. 

Il ponte va fatto per lo stesso motivo per cui un mondiale di calcio va vinto: per mostrare il proprio valore al mondo e ritrovare fiducia nelle proprie forze. E andare avanti. 

In una parola: progredire. Ma per davvero. 

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