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Quattro meno meno

Se il deludente confronto tra Enrico Letta e Giorgia Meloni trasmesso dagli studi del Corriere della Sera fosse stato un’interrogazione scolastica, difficilmente il professor Luciano Fontana avrebbe potuto elargire un voto prossimo alla sufficienza. 

Promosso a pieni voti, invece, il format. Che grazie ai tempi contingentati e alla precisione delle domande ha fatto emergere tanto l’inconsistenza delle idee quanto la camicia di forza delle malassortite coalizioni, la quale ha costretto i due poveretti a tenersi a dir poco sul vago, pur di non offendere le opposte convinzioni degli improvvisati alleati. 

Il Serenissimo, parlando dell’Europa (ma forse intendeva l’Unione Europea) lamentava un «diritto di veto» che esiste solo nella sua mente e in quell’altra unione di cui l’Italia fa parte (le Nazioni Unite), attribuendo a tale inesistente «diritto» (in realtà inevitabile conseguenza di una unione costruita su trattati reciproci, anziché su un ordinamento statuale democratico) le colpe del mancato accordo sulla questione energetica. 

Ha infine equiparato l’Unione a un «condominio». Quale in realtà essa non è, dal momento che un’assemblea condominiale delibera circa l’uso e il costo delle proprietà comuni e tali delibere divengono vincolanti per tutti i comproprietari. L’Unione, non disponendo di alcun potere legislativo, esecutivo o giudiziario e non possedendo «parti comuni», andrebbe più correttamente equiparata a un circolo sportivo, dove i soci non sono tenuti a rispettare altro se non il regolamento interno, e versano una quota di iscrizione per poter utilizzare il campo da gioco comune. Senza alcun potere in merito alla gestione dell’impianto. 

Solo un vero Stato federale europeo, con poteri effettivi negli ambiti delegati dai singoli Stati membri, potrebbe deliberare a maggioranza anziché all’unanimità. Ma Sua Serenità ha accuratamente evitato di pronunciare la parola «eurofederalismo». Un po’ perché sta a capo di un partito che eurofederalista decisamente non lo è, un po’ per non stuzzicare l’ostinato e contrario alleato Fratobonelliano, antiqualsiasicosa a prescindere. Così non gli resta che lisciare il pelo all’alleato «buono» e proclamare a gran voce che serve «Più Europa!». Guardandosi bene, però, dallo specificare quale. 

Dall’altro lato del tavolo la donna, la madre, la cristiana, quell’Unione la minaccia apertamente. «È finita la pacchia!», è il grido di battaglia. Scordando che la pacchia è stata finora per l’Italia, che ha ottenuto col PNRR stanziamenti assai più generosi rispetto agli altri Stati membri. «A Bruxelles dobbiamo portare avanti i nostri interessi», prosegue, dimenticando che nessuna unione può funzionare se non si resta uniti. Scaricando in tal modo un gigantesco masso sullo stretto sentiero (spianato da Draghi) verso uno Stato confederale europeo. «Dobbiamo cambiare il PNRR», insiste, quasi ci fosse il tempo per scucire l’abito già pronto e ritagliarsene un altro su misura.

L’ignoranza dei trattati comunitari tocca il massimo quando i due poveretti tentano di misurarsi sulle politiche migratorie. 

La donna, la madre, la cristiana auspica una «redistribuzione degli irregolari su base europea», scordandosi che i confini dell’Italia NON sono i confini dell’Unione, ma quelli dell’area Schengen (che comprende Stati extraeuropei e ne esclude altri che dell’Unione fanno invece parte), la cui Convenzione l’Italia sarebbe tenuta a rispettare, ma si è sempre guardata bene dal farlo. 

L’Italia, in base a tali trattati, se proprio lo desidera, è libera di accogliere chiunque si affacci sul proprio territorio. Anzi: è obbligata a farlo dall’art. 10 della Costituzione, che garantisce diritto d’asilo a tutti coloro che provengono da Paesi il cui ordinamento è differente da quello italiano, Florida e Texas inclusi. Ma l’art. 5 c. 2 della Convenzione di Schengen, pur riconoscendo tale diritto, specifica chiaramente che gli immigrati privi di requisiti e accolti in deroga da uno degli Stati firmatari non possono in seguito lasciare il territorio dello Stato che ha scelto di ospitarli. 

Ignorandolo, tanto la donna che la madre e la cristiana si indignano contro Francia e Germania, che hanno invece osservato la legge e rispedito in Italia chi dai nostri confini tentava di entrare clandestinamente in quei Paesi, e pretende «una missione europea per trattare con i governi nordafricani e impedire le partenze dei barconi». Ma l’Unione, che non è l’area Schengen e non ha alcun potere in materia di politica estera, poco può fare in merito.  

A tanta ignoranza, il Serenissimo non ha altro da opporre che «più integrazione, ius scholae e riapertura del decreto flussi». Di applicare la Convenzione di Schengen, invece, manco se ne parla. 

L’ultimo confronto è su Dio, Patria, Famiglia: ideali che la Fiammifera definisce «mazziniani», nel disperato tentativo di scolorarne il nero fascista. Ai quali il Letta-mai-eletto nulla ha di meglio da contrapporre se non la consueta litania sui «diritti». Ovviamente delle minoranze. Mai delle maggioranze. Quelli sì più costosi e impegnativi. 

C’è chi si domanda chi fra i due abbia «vinto», chi fra i due abbia saputo meglio mascherare la propria sostanziale nullità. Più facile sarebbe domandarsi chi ha perso. Perché a noi pare che abbiano perso entrambi: in autorevolezza e in credibilità. E ciò grazie a un format preciso e intelligente che ha agito da lente di ingrandimento, rivelando imperfezioni, malformazioni e difetti normalmente invisibili su canali di informazione più servizievoli e amici. 

Quel che ci si attenderebbe da un vero servizio pubblico, insomma. Ma inaspettatamente offertoci da un canale indipendente e privato.  

    

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