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Chi di vaffa ferisce...

«Non siamo pagliacci!», ostenta il capobanda a cinquemenomenostelle dopo le lagne del giorno prima, con le quali implorava che fosse il Governo italiano a sanare le beghe di un partito in via d'estinzione. I cui parlamentari, proprio adesso che finalmente s'avvicina l'auspicato momento di svuotare le aule come scatolette di tonno, osservano terrorizzati il coltello e la forchetta che attendono la pregiata conserva pronta ad esser estratta dalla latta. 

Che sia questa («non siamo pagliacci») l'ennesima menzogna posta a coronare le altre che farciscono le nove pagine del documento-nocumento presentato ieri dal capopartito al presidente del Consiglio dei ministri?

Lo vedremo presto in aula, dove il governo chiederà questo pomeriggio che la fiducia a suo tempo accordata gli sia confermata o revocata. E non c'è nulla che un fannullista terrapiattista tema maggiormente dell'esser chiamato ad esprimere un o un no, piuttosto che un forse, un vedremo, un chissà, un purché, un sì-ma o un no-però.

Ma diamo una scorsa alle nove pagine di inutile deforestazione con le quali i morituri pretenderebbero ancora una volta di dettar legge, incaricandone nientepopodimenoché il Governo, non avendo i numeri per farlo da sé nel luogo istituzionalmente a ciò preposto. Ossia le aule parlamentari.

Scritto in forma di lettera aperta, il documento intende esprimere «la condizione di profondo disagio politico che la Comunità del Movimento 5 Stelle sta vivendo». Quasi spettasse al Governo consolarla dai recenti schiaffi, schiaffetti e schiaffoni. 

Segue un lungo pippone che illustra le non solidissime basi ideologiche del movimento (all'indietro): dalla biodiversità alla lotta ai «privilegiati», termine con cui si designa la grande maggioranza delle persone normali, quelle che vivono del proprio lavoro e non di elemosine di cittadinanza.  

Quindi la prima lagna: abbiamo deciso di «non volgere le spalle al Paese» (il che non ha impedito al Paese di volgerle a loro), ma abbiamo subìto dalle altre forze politiche «attacchi pregiudiziali, mancanze di rispetto [...] invettive». Bimbi bullizzati che chiedono aiuto a papà Governo, che tuttavia poco ha a che fare coi dispetti che i bimbi-partiti vicendevolmente si fanno. E ancora: «C’è stata spesso indifferenza rispetto alle nostre legittime richieste»: confondendo le richieste con le delibere, le domande con le risposte, i desideri con la realtà. 

Segue il consueto tragico dipinto dell'Italia: sessanta milioni di indigenti costretti a saltare pranzo e cena per pagare tasse e bollette, e non invece accalcati in spiaggia, in coda in autostrada e in fila al ristorante, a spender quei soldi che il governo dovrebbe «ristorare». 

Dopo un ulteriore sermone dedicato alla «difesa e alla valorizzazione degli equilibri degli eco-sistemi» (?) il capopartito esprime la ben nota concezione di democrazia cara ai cinque stelle: non il governo della maggioranza, ma il mantenimento a spese dello Stato (il «sostegno») di qualsiasi minoranza. Per ultimo si acconcia ad accettare il fatto che l'Italia stia nella NATO, purché non sia «allineata» alla NATO (alleati sì-ma-però).

Terminata la narrazione di quel che un cinquestelle pensa la notte, ha inizio la lista della spesa, in nove punti.

1) Il reddito di cittadinanza non si tocca, anzi.

2) Va istituito in Italia il salario minimo.

3) Lotta al precariato, con incentivi a chi assume a tempo determinato.

4) Soldi per tutti, con riduzione di tasse e imposte e con pubbliche elargizioni a famiglie e imprese. Natale tutto l'anno.

5) Più investimenti nelle cosiddette energie rinnovabili. 

6) Superbonus 110% per sempre.

7) Cashback forever.

8) Condono fiscale. Traduzione dal cinquestellico «Definizione agevolata dei debiti iscritti a ruolo presso l'Agente per la Riscossione». 

9) Più controlli parlamentari sulle deleghe al Governo. 

Nei panni del presidente del Consiglio non avremmo difficoltà ad arrotolare quei nove fogli e restituirli al mittente. Non è infatti né nelle competenze né nei poteri del Governo trasformare in realtà i nove desideri. Occorre legiferare in merito, e le leggi, in Italia, le scrive il Parlamento, non il Governo, e tantomeno i partiti. Se Conte, extraparlamentare ed extragovernativo, ha degli amici in Parlamento, si rivolga ad essi, pregandoli di presentare delle leggi in merito e di cercare i numeri necessari per farle approvare. 

Ma se le loro richieste non producono altro che risolini di compassione o di scherno, e la maggioranza dell'aula (si chiama democrazia) boccia le loro proposte, è inutile che se la prendano con chi ad altre cose è preposto. 

Presiedere le riunioni dei ministri non ha niente a che vedere con l'attività legislativa. 

C'è chi lo sa e c'è chi non lo sa.


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