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— È un'ingiustizia, però!...

È un Putin-Calimero quello che sulla Piazza Rossa (ma non di vergogna) frigna indignato contro il complotto mondiale antirusso, che oltre a diffondere sentimenti di emarginazione e odio contro il suo popolo, nasconderebbe un premeditato piano di invasione NATO contro il suo (e sottolineiamo suo) Paese. 

— Ce l'hanno tutti con me perché son piccolo e nero! — si lagnava il pulcino più amato dai bimbi italiani degli anni Sessanta, consumatori compulsivi di meravigliosi Caroselli. 

— Ma tu non sei nero: sei solo sporco! — rispondeva con toni rassicuranti la voce fuori campo, suggerendo quale definitivo rimedio il prodigioso detersivo Ava.

Anche lo Zar di tutte le Russie, indiscutibilmente assai più nero di Calimero, è in realtà oltremisura sporco, e il puzzo che emana è tale che finisce inevitabilmente con l'attaccarsi a chiunque gli stia vicino: non solo agli oligarchi e ai leccatutto che gli fanno corona, ma anche all'incolpevole popolo russo. 

È sempre successo, nella Storia umana, ogni qual volta una guerra costringe gli osservatori ad abbandonare la tradizionale dicotomia buoni-cattivi a favore di una più consona discrasia amici-nemici, che interi popoli venissero genericamente etichettati come «crucchi» o «musi gialli», «pellerossa» o «scimmie», «barbari» o «infedeli», «plutocrati» o «bolscevichi». E ci son volute più generazioni perché i «musi gialli» tornassero ad esser stimati e amati come Giapponesi, ed i «crucchi» rispettati e ammirati come Tedeschi. 

Ce ne vorranno forse tre, prima che i Russi tornino ad esser visti come esseri appartenenti alla specie umana. Ma il responsabile di questa nomea di vigliacchi, buzzurri, violenti, ignoranti, bugiardi, supponenti e guerrafondai che va di ora in ora addensandosi su di essi, è uno ed uno soltanto: il loro amato condottiero. Colui che ha proditoriamente invaso un Paese vicino nella convinzione di potersi esibire in una facile quanto vile esibizione di forza, ma che oggi rischia nel peggiore dei casi di veder dissolversi in una nube atomica le due sole città del suo immenso Paese e, nel migliore, la figuraccia planetaria dell'orso che non riesce ad acchiappare e divorare la gallina. 

Da parte sua, il popolo russo subisce anch'esso il fascino dell'etichetta amico-nemico, e con l'eleganza che contraddistingue la sua illuminata classe dirigente commemora la Grande Vittoria impiastrando il lunotto delle loro auto con altrettanto grandi stickers che in una discutibile allegoria omosessuale (idea di Kirill, patriarca di tutte le Russie?) accomuna l'antica «vittoria» sovietica su Hitler alla «vittoria» della Russia sugli USA con l'occupazione della Crimea (2014). Paragonando gli USA a quel nazionalsocialismo che Putin oggi meglio di chiunque altro incarna.

Se è vero che un dado è stato tratto, è chiaro al mondo chi quel dado l'abbia lanciato per primo. Quel che invece non tutti vedono è che mentre a Cesare quel dado si fermò su un bel sei, il dado di Putin, per adesso, altro non mostra che un misero uno. 

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