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Sparare o sparire? (Parte Seconda)


Non solo sul campo si spara per non sparire: chi per difendere la propria indipendenza, chi per imporre la propria supremazia. In modi non troppo diversi, una sterminata schiera di gladiator raglianti ha finito con l'occupare in Italia una buona metà dei circences televisivi, imbullonandosi di prepotenza alle poltrone dei cosiddetti talk-show (dove il termine «talk» dovrebbe concernere la parola, piuttosto che il raglio), e da lì sparare a vista (le più indegne cialtronate) pur di non sparire (dagli schermi). 

Ma tant'è: anche nelle moderne arene, non diversamente dagli antichi colossei, per ogni cristiano in pista occorre un leone che tenti di sbranarlo. O una tigre. O, più modestamente, un ciuco scalciante. Occorre dar vita a un conflitto.

A dirigere questi tristi eventi c'è solitamente un giornalista, aduso a praticare quello che è in assoluto il mestiere più antico del mondo: se è vero che ancor prima che il mondo vedesse una Eva trafficare tra mele e serpenti, in qualche dove c'era già chi, col taccuino in mano, annotava qualunque cosa accadesse: dalla creazione della Terra al riposo settimanale dell'Artista. Ben sapendo che il suo long-seller sarebbe stato il libro più venduto al mondo. Oltre che il primo.

Gli animali, anche in tivù, non fanno che il loro mestiere, che è quello di animaleggiare. Ben sapendo che più forte è il ruggito (o il raglio), maggiori saranno gli applausi del pubblico schierato e assetato di sangue, venduto a peso ogni mezz'ora quale ignaro bersaglio di camionate pubblicitarie che menti più sveglie sanno come trasformare in denaro. 

Così il giornalista consolida la propria fama, gli animali guadagnano la pagnotta, il padrone del circo incassa i soldi, il pubblico bue è (come sempre) felice d'esser stato fregato, e i soli a rimetterci sono ancora una volta i cristiani: gli esseri pensanti. Attaccati dalle belve, sfottuti dagli spalti, sfruttati dal padrone. E tutto aggratis! 

Le belve televisive non sparano missili (per loro e nostra fortuna) ma falsità di ogni genere. Senza la rete della logica, o dei dati numerici, o dell'analisi militare e politica. Spesso senza neppure il minuscolo retino di un diploma di scuola media dignitosamente conseguito.

Inutile fare nomi, regalando ad esse l'immeritata fama che con ogni mezzo rincorrono. Anche perché costoro suonano tutte il medesimo spartito, che si basa su tre inoppugnabili concetti: 1) si vive meglio in pace che in guerra; 2) si vive meglio da sani che da malati; 3) si vive meglio da ricchi che da poveri. E di fronte a siffatte argomentazioni, ovini e bovini sugli spalti non possono che osannarli, constatando di quanta verità i tre assiomi (e gli innumerevoli asinoni) siano portatori. 

C'è solo un problema. La generazione del web, abituata ad avere tutto gratis (trad: rubare), dai libri ai giornali, dalla musica ai film, non sa capacitarsi del fatto che la pace, la salute, il benessere siano dei valori. E che pertanto, come tutto quel che vale, non vengano distribuiti gratis. 

La ricchezza non è uno stato di natura, ma un obiettivo da perseguire. Così come lo è il mantenersi in forma e anche – guarda un po' – il vivere in pace. Così i nostri ragliator cortesi badano bene che le loro ospitate televisive siano ben retribuite, o in denaro contante o in marchettoni librari, ed è con quei soldi che pagano ogni mese la palestra, il portiere e l'antifurto in casa. E bene fanno: prepararsi al lavoro, lavorare e mettere a frutto la propria opera è il lodevole obiettivo che ogni persona libera e capace dovrebbe perseguire.

La questione è che essi pretendono che le nazioni si comportino invece in tutt'altro modo. Costruire la pace? Capirai, ci stanno gli altri che te la offrono gratis. Nel peggiore dei casi, poi, non c'è che da alzare le mani e arrendersi. La salute? No al nucleare, agli inceneritori, all'estrazione del gas; sì alla distruzione dell'ambiente e del paesaggio. Gestire responsabilmente l'economia? Meglio pietire ogni giorno elemosine ai vicini col cappello in mano.   

Focalizzandosi poi sulla pace, le bestie amano sostenere che questa non si raggiunge rafforzando le proprie difese, ma con la «trattativa», con il «dialogo».

Bene. Peccato però che, anziché dormire col portoncino aperto, urbanamente convenendo coi vicini l'accordo che nessuno pensi di entrare armato in casa altrui la notte, ciascuno di essi, prima di coricarsi, dia sette mandate di chiave e accenda i dodici antifurto di cui ha pensato bene di munirsi (tredici, con quello dell'auto). 

La loro linea non è diversa da quella dei «liberi giornalisti» russi: robot di Mosca, che pare divenuto obbligatorio ospitare in tivù (il pubblico drogato chiede dosi sempre più pesanti). 

Per assurdo questi faticano assai meno degli striscialingua di casa nostra. 

Mentre i nostri ragliatori debbono con fatica arrampicarsi ogni volta su interminabili specchi (col rischio di vedersi in faccia e cader giù per la vergogna), il servitore d'un sol padrone non ha che da ribaltare a 180° tutto quel che dicono gli umani. 

— Guerra? Operazione speciale!

— Civili massacrati? Sì, ma si son giustiziati da soli, giusto per far dispetto a Putin.

— Trattative di pace? Come no. Dateci tutto e andatevene. 

E se non bastasse, c'è sempre l'asso nella manica: quello che gela ogni omuncolo per default già paralizzato dalla paura: la Terza Guerra Mondiale! 

E perché non la Quarta, che magari è pure meglio?


 




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