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Molto rumore per nulla

Niente più di una limousine lunga trenta metri che arranca faticosamente per le strade d’America può meglio incarnare l’insulsa quanto inutile brama di grandezza pervicacemente inseguita da quel solitario neurone che abusivamente alloggia nell’altrimenti deserta capoccia di Donald Trump.
Un’auto (?) buona per tutto: dai parties alle avventure galanti. Per tutto, ma non per quello che una vera automobile dovrebbe innanzitutto saper fare: muoversi con agilità e destrezza da un luogo all’altro percorrendo qualsiasi tipo di strada.

I ventisette staterelli, repubbliche e regni della vecchia Europa potranno forse essere, agli occhi del Pannocchia, poco più che altrettanti scompagnati maialini, privi come sono di una casa comune e di un mandriano che li guidi. Ma vivon forse meglio quei cinquanta Stati americani stipati all’interno di una sola vettura lunga e stretta con una sola persona al volante? Abile e capace conducente, quando va bene. Stupido ed inetto quando (come stavolta) va male?

Tanta esagerata ostentazione, a guardar bene, a che altro può servire se non a suscitare immeritati sguardi d’ammirazione e/o ingiustificati sentimenti di invidia? 

Sicuramente non serve a spostarsi con maggior velocità, comodità, eleganza, sicurezza. Perché quando dall’apparenza (che sazia l’occhio) si passa alla sostanza (che nutre il cervello), nessuna persona di senno può ignorare che quel motore, per quanto elefantiaco, debba comunque faticare assai per smuovere quel vagone con ventidue ruote sull’asfalto. Un serpente paralitico che rischia di inchiodarsi ogni qualvolta la strada ambirebbe volgersi in curva, per larga che essa sia (se stretta, inutile parlarne), impossibilitato persino a tornarsene indietro invertendo la marcia, o a trovar parcheggio in qualche angolino di lunghezza inferiore a quella d’un traforo alpino. Quanto al carburante, poi, è lecito supporre che una buona metà del veicolo ospiti la necessaria cisterna.  

«Much ado for nothing», avrebbe titolato il Bardo: molto rumore per nulla. E così abbiam fatto noi.

Tanta potenza, tanta grandezza, senza poterne (o saperne) far uso. Se non quello di mostrarsi ora vestito da Re, ora da Papa, ora da Dio, per far credere agli ignavi d’essere in grado di rivoltare (in peggio) il mondo con la sola arma che riesce a stringere in mano: la penna. Pronto a sguainarla per imporre dazi ai pinguini dell’Antartide o per cambiar nome (ma non proprietari) al Golfo del Messico. 

Rumore, rumore, rumore, rumore, rumore. Fracassone e insensato quanto può esserlo un petardo gettato a bruciapelo tra i passanti al solo scopo di di intimidirli. Che al primo botto può forse suscitare meraviglia e spavento, al secondo fastidio e noia, al terzo insulti e sberleffi: gli stessi che, al momento il biondo pachiderma va raccogliendo un po’ ovunque su questo sventurato pianeta. Inclusi quelli, abilmente mascherati da inchini, riverenze e sorrisi, di chi con le proprie arti sa come turlupinarlo e manipolarlo a proprio vantaggio per ricavarne denaro, privilegi, riconoscimenti, potere.

Un infelice. Come può esserlo chiunque costretto alla guida di quel grosso aereo senz’ali che è la limousine, inadatto a camminar su strada e tuttavia incapace di levarsi in volo. Insoddisfatto come una gallina costantemente in cerca della propria vera natura: alata, sì, ma troppo pesante per volteggiar nei cieli, armata di zampette, sì, ma troppo stecchite e minuscole per battere in velocità la volpe. E pertanto giocoforza reclusa tra i reticolati di un lager-pollaio dal quale non potrà mai liberarsi, neppure costruendogli accanto una sala da ballo progettata per accogliere altri duemila pennuti.     

Che se la passino meglio i maialini del Vecchio Continente, liberi di rincorrersi e rotolarsi sui prati quando c’è bel tempo, ma lesti a disporsi in fila come obbedienti boy-scout quando il dovere o la necessità li chiama? In grado di affrontare non soltanto curve, salite, tornanti o discese, ma persino di scalare montagne o esplorare il profondo dei mari? Ed è più piacevole prender parte a una scampagnata in ventisette, ciascuno con la propria Cinquecento, Wolkswagen, Dacia, Dyane, Mini, Skoda... o ubriacarsi in cinquanta su una smisurata limousine, tanto noiosa vista dal di dentro quanto spassosa se osservata dal di fuori, trascinata a fatica da un autista intento a condurla verso una meta a lui soltanto nota e/o a lui soltanto gradita? Che si chiami Russia o Groenlandia, Marte o Luna, Atlantico o Pacifico, Golfo d'America o Golfo del Messico? 

«Tragicomico», fu definito il copione shakespeariano rappresentato in quel lontano anno 1600. Tragicomiche saranno forse etichettate un (si spera vicinissimo) domani le poche pagine di Storia destinate ad eternare la misera America di questo primo scorcio di Millennio. Frutto dell’incosciente insignificanza di quel più che pasciuto fantino saltatole fraudolentemente in groppa. Che mentre la schiaccia sul dorso ne rallenta la corsa. 

L’auspicio è che il tragicomico non debba infine tramutarsi in comicotragico: che spetti alla tragedia sfociare infine in una grande risata, e non alla risata cedere il passo alla tragedia. 

Molto rumore per nulla è pur sempre meglio di un piccolo nulla avviato ad esplodere in un solo grande, grandissimo, insostenibile rumore. 


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