Con quegli accordi, l’Italia non soltanto fu obbligata a restituire i territori militarmente conquistati in Francia, Jugoslavia, Grecia, ma dovette aggiungerne di propri, annessi alla Francia, alla Jugoslavia, all’Albania, alla Grecia, alla Cina (Tientsin), alla Gran Bretagna (colonie d’Africa). Al medesimo trattamento dovettero sottostare Ungheria, Romania, Bulgaria e Finlandia, indebitandosi anch’esse oltre misura per rimborsare (in dollari) l’intero ammontare dei danni di guerra.
La Germania in quanto nazione scomparve nel nulla, spartita in due tra i maggiori alleati (USA e URSS) e da essi amministrata, dopo esser stata integralmente disarmata, fino all’ultimo coltello da cucina.
Le restrizioni militari imposte all’Italia furono invece parziali: rinuncia a qualsiasi armamento offensivo, forti limitazioni per quello difensivo.
In particolare fu proibito all’Italia non soltanto la detenzione, ma anche la progettazione di armamenti nucleari, nonché di razzi, missili o proiettili con gittata superiore ai 30 km. Fu altresì ordinato lo smantellamento delle difese costiere in Sardegna, in Sicilia, a Pantelleria, Lampedusa, Pianosa, e stabilito un massimale di 250.000 uomini per l’esercito (inclusa l’Arma dei Carabinieri e, fino al 1981, la Polizia di Stato), con il limite massimo di 200 carri armati.
Il medesimo tetto (200) fu stabilito per i velivoli da combattimento e da ricognizione concessi all’Aeronautica (non oltre 25.000 uomini, dal pilota al benzinaio), col divieto assoluto di armare aerei adatti al bombardamento (aereo bombardieri) nonché – per la Marina – la proibizione di costruire, acquistare o sostituire motosiluranti, sommergibili, incrociatori, mezzi d’assalto, portaerei (divieto italianescamente beffato ribattezzando le navi in «portaelicotteri» e attrezzandole con aerei a decollo verticale: «vertiplani»). Limitando la stazza complessiva della flotta a 67.500 tonnellate.
Più di 90 tra navi, sommergibili, motosiluranti e incrociatori furono poi sequestrate all’Italia dai Paesi vincitori. Tra queste la nave scuola Cristoforo Colombo (gemella dell’Amerigo Vespucci), ceduta all’URSS non certo perché rappresentasse una possibile minaccia, ma giusto come trofeo da esibire al mondo. Come ancor oggi usa tra i saccheggiatori russi.
Chi voleva (ed ancora vuole) il disarmo, in breve, lo già ha avuto. A suo tempo. In quel dimenticato 1947.
I Trattati di Parigi, giuridicamente parlando, sono ancora oggi in vigore. Le fortezze costiere di Sardegna e Sicilia restano disarmate, abbandonate o trasformate in villaggi turistici, centri di ricerca, musei. La smilitarizzazione della Polizia di Stato ha sottratto quel corpo dal limite dei 250.000 militari in servizio, consentendo di allargare i ranghi militari. L’escamotage delle portavertiplani (mica aerei!), poi, se lo son bevuto fortunatamente in tanti.
Per il superamento di molte delle restrizioni del 1947, fondamentali sono state le richieste della NATO ai Paesi chiamati a farne parte. Grazie alla NATO anche la Germania, costretta a rinunciare per sempre ad un esercito, ad un’aviazione, a una marina, ha potuto dotarsi (in deroga ai trattati) di quel minimo quantitativo di mezzi aerei, navali e terrestri indispensabili per offrire un proprio contributo militare all’Alleanza. Sempre per tramite della NATO, l’Italia può ospitare sul proprio territorio un consistente quantitativo di armamenti nucleari che, di per sé, non sarebbe legittimata a detenere. E così la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria, oggi Stati membri dell’Unione Europea. E così la Finlandia, recentissimo acquisto NATO.
Ma altri più importanti mutamenti hanno interessato negli ultimi settantotto anni la platea dei Paesi vincitori.
L’URSS, felicemente discioltasi nel lontano 1991, non è più parte in causa. E così la Jugoslavia, frantumatasi nel 1990. La Gran Bretagna, incautamente dissociatasi dall’Unione Europea nel 2020, ed oggi apertamente minacciata dalla Russia sul mare e dagli USA nei possedimenti canadesi, mai come ora è fermamente posizionata accanto all’Europa, promotrice di un’unione militare tra Paesi autodefinitisi «volenterosi». La Cina non ha più interessi territoriali in Occidente. La Cecoslovacchia si è scissa in due differenti nazioni (1993), entrambe parte dell’Unione Europea, così come lo sono gli altri vincitori Francia, Belgio, Grecia, Paesi Bassi, Polonia.
Quanto all’Ucraina (sotto l’URSS: «Repubblica Socialista Sovietica Ucraina») è sin dal 1991 un Paese libero e indipendente, oggi impegnato a resistere contro uno stanco invasore russo. Uno Stato non ancora europeo, ma impaziente di diventarlo.
Di fronte ad un simile stravolgimento geopolitico, soltanto gli USA di Trump, tra gli Stati firmatari del trattato della vittoria del 1947 e fino ad oggi sopravvissuti, insistono nel dichiararsi ostili nei confronti degli sconfitti di allora.
Solo gli USA, impegnati come non mai a tirarsi indietro dalla NATO, ridimensionando la presenza come l’impegno, potrebbero oggi ardire di pretendere dall’Italia e dalla Germania (così come da Ungheria, Romania, Bulgaria) il rispetto alla lettera degli ancora vigenti Trattati di Parigi. Come invece non possono (o non vogliono più fare) quelle nazioni vincitrici oggi cancellate dalle mappe. O le molte infine rappacificatesi sotto il cielo stellato della bandiera europea.
Il sottocerebrato trombettiere di Washington, incapace di valutare le conseguenze di ogni sbotto che gli sfugga di bocca, di ogni intemerata, di ogni raglio, senza saperlo né volerlo ha offerto agli Stati europei (Germania ed Italia in testa) il più ben regalo che un Natale abbia mai visto sotto un albero: un fiammifero con cui incenerire per sempre quel po’ che ancora resta delle troppe restrizioni e castrazioni militari imposte nel 1947.
Grazie alla Stupidità Naturale di Donald Trump, anche l’Italia e la Germania potranno adesso armare un esercito, possedere sommergibili, bombardieri, incrociatori, portaerei, dotarsi di missili da crociera e di veri cannoni, difendere le coste, intercettare eventuali attacchi nemici. In una parola: riarmarsi.
Quel riarmo che fino ad oggi il mondo di Yalta proibiva per legge all’Italia, ma che adesso, dopo il passo indietro del TACO di Washington, diventa magicamente possibile.
I soli ad inorridire – incapaci di coglierne i vantaggi ed ancor meno di comprenderne l’urgenza e la necessità, non sono i vecchi nemici (esterni), ma i nuovissimi nemici (interni): analfabeti, anime belle, televisionari, no-tutt, quinte colonne, venduti e indecisi d’ogni specie e colore: dai portamadonne lumbard ai naturisti rossoverdi, dai cacasotto cinquechiappe ai cacadubbi del sol dell’avantieri.
Uniti da un solo non-pensiero: l’incapacità di comprendere che le contorsioni intestinali trumpiane porgono su un piatto d’argento a quei Paesi (allora) sconfitti (in primissima fila l’Italia) lo scalpello con cui incidere una volta per tutte la parola «FINE» su quelle ultime macerie, triste residuo della Seconda Guerra Mondiale. Perché quello è il solo vero e autentico significato della parola «riarmo»: non l’inizio per l’Europa di una nuova stagione di guerre, ma la fine di quella precedente, ancora viva nelle pretese del monocrate americano e nei rancori del dittatore russo.
Chiusa per sempre quella vecchia e ingiallita pagina, occorrerà porre le basi per la costruzione di un vero Stato Federale Europeo: il solo legittimato a definre una politica estera condivisa che possa dar vita ad un progetto di difesa comune in grado di orientare e guidare l’azione di un’auspicabile quanto inrinviabile forza armata europea. Unico possibile strumento di pace in un mondo dove ogni regola pare scritta per esser disattesa, il male è spacciato per bene ed il bene per male, i criminali osannati e rispettati e persino i bimbi girano col coltello fra i denti. E appena oltre la porta, un nemico che li paga e li aizza, che vorrebbe seminar paura dentro le case accanto e lì trova terreno fertile, concimato da un crescente numero di aspiranti servi, mai come oggi in cerca di nuovi padroni.


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