Non è quel che vi han fatto credere.
La più antica professione del mondo è indubbiamente quella del giornalista.
Perché già prima (assai prima) che da un’inutile costola di Adamo nascesse la dolce persona di Eva, futuro bersaglio di tanti tristi maschili epiteti, già c’era qualcuno che osservava, annotava e trascriveva ogni minimo dettaglio. In quel diario del mondo, numero unico, oggi raccolto sotto il nome di Bibbia.
Tracce di questa ancestrale origine è facile trovarle in molti fra coloro che si si sforzano di perpetuare ai giorni nostri quell’antico mestiere. Sopravvissuto tanto alla distruzione del Tempio (l’edicola) che alla francobollizzazione del prodotto, progressivamente contrattosi dallo storico formato lenzuolo al più modesto fazzolettino, passando per il tovagliolo, fino a dissolversi ormai quasi del tutto nell’etere, dove ancora si aggira tra web, radio e tivù.
Il giornale è morto, i giornalisti no. I giornali non si vendono più, i giornalisti non è dato saperlo.
Ci abbandonavamo tra le nuvole immersi in queste amene considerazioni ascoltando per puro caso le argomentate elucubrazioni di un antico esponente dell’ancor più antica professione, quotidianamente fatto, intento a difendere a spada tratta le «ragioni» di Putin in Ucraina, e ad offendere quelle degli Ucraini (che qualche ragione, in Ucraina, dovrebbero forse pur avere anch’essi).
— Putin ormai ha già vinto. Inutile continuare a versare sangue (e a spendere soldi) per tentare di resistergli — questa l’essenza del dotto discorso.
Come dire: i ladri assassini ti son già entrati in casa. Inutile che tu strilli e chieda aiuto. Statte bono e lascia che rubino e uccidano. Chi sopravviverà avrà fortuna di servirli. Meglio un servo vivo che un ex padrone morto. Noi abbiamo fatto anche la mossa di aiutarti, ma adesso c’è passata la voglia. Meglio strizzare l’occhio ai nuovi padroni.
Autentico giornalismo.
Sottoposta ad un rapido fact checking, la notizia mostra più d’una falla.
Che Putin abbia «vinto» non soltanto è tutto da dimostrare (c’è chi ha ricordato come Stalin in due mesi sia giunto a Berlino, mentre Putin in quattro anni abbia di poco oltrepassato i propri confini), ma si dimentica la sostanziale differenza tra il vincere con onore e il vincere con disonore.
Il Paese più vasto del mondo, uno dei meglio armati, ventotto volte più grande dell’Ucraina, impegnato in una guerricciola sotto casa che in quattro anni non riesce a chiudere, può davvero dichiararsi «vincitore» solo perché ha trovato un accordo col compagno di merende Trump, lupo nucleare anch’egli vigliaccamente affamato di teneri (e disarmati) agnelli venezuelani, messicani e danesi?
Circa poi l’«inutile versare sangue», l’intrepido giornalista dimentica che non si tratta del proprio sangue, ma del sangue altrui, e che non spetta ad egli decidere se, quando e quanto versarne. Dov’è finita l’Italia del Risorgimento, quella che o si fa l’Italia o si muore? O quella della Resistenza, combattuta a colpi di pietre e di molotov contro i panzer tedeschi? Non sarebbe stato più comodo imparare la lingua e asservirsi? Quanto meno sangue! E invece quella guerra l’Italia l’ha persa, sì. Ma l’ha persa con onore.
È stato dunque «inutile» resistere?
Ora le pietre e le molotov le hanno in mano gli Ucraini. Spetta ad essi decidere se la loro patria è un bene così alto da legittimare il voler morire per difenderla, così come ogni madre sarebbe senza esitazione pronta a fare per i propri figli, o abbandonarla alle voglie di un cavernicolo a cui prostituirsi.
Fortunatamente per il mondo, non tutti sono nati giornalisti.
È la guerra loro, non la nostra. Spetta agli Ucraini decidere se e come continuare a combatterla, se fino all’ultimo uomo o fino al penultimo. Non ci hanno chiesto di combatterla per conto loro. Ci han chiesto un aiuto. Di lanciare ad essi un bastone, un coltello, qualsiasi oggetto con cui potersi difendere. Qualcuno ha donato loro missili ed aerei, qualcun altro elmetti e giubbini, altri ancora denaro e medicinali. Ma nessuno ha mai sentito un Ucraino adombrarsi e inveire contro chi invece si è astenuto dal farlo.
Brutto mestiere, quello del soldato. Ma ben peggiore quello (antico) di chi dal divano di casa pretende a modo suo non solo di raccontarlo, ma anche di giudicarlo.

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