Il messaggio calabrese è tanto netto quanto inequivocabile: il campo (troppo) largo scivola lungo la ripida china che inevitabilmente conduce a una (dis)onorata sepoltura. Precipitevolissimevolmente.
La costellazione Tridico, sulla carta prima beneficiaria di quanto seminato pochi giorni fa in cento piazze, mette insieme percentuali umilianti: 41,73% a fronte del 57,26% dell’avversario.
Se un qualche beneficio da quelle piazze è arrivato, non resta che calcolare quanto più magro sarebbe stato il bottino del tridetto, senza quel possente apporto.
Se, viceversa, il grosso dei voti conquistati giunge dal gran sbandierare del lungo week-end, ancor maggior preoccupazione desta la percezione di quanto scarsa sia la consistenza dello zoccolo (un tempo) duro di quello schieramento.
Una pesante disfatta, insomma, da qualsiasi parte la si osservi. E una certificazione scritta della distanza che separa il confuso strillare della piazza dal meditato pensare nell'oscurità della cabina elettorale.
Le piazze sono le urne dei movimenti. Le urne debbono essere le piazze dei partiti.
Chi vuol farsi partito metta la cravatta alle parole e definisca con civili discussioni la propria meta ideale e la via per conseguirla. Chi vuol farsi movimento metta una sciarpa al collo, buone batterie nel megafono e vada a gridare al vento quel che meglio crede.
Purché sia l'esatto contrario di quel che ha strillato il giorno precedente.
Saltar di qua e di là come un Grillo, talvolta funziona.

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