Belzebù è all’attacco. Ha piazzato i suoi migliori campioni – Putin e Trump – nella nostra metà campo e punta dritto alla rete. L’arbitro ONU, ormai a libro paga, finge di non vedere e gioca col telefonino. Xi Jinping, dalla tribuna VIP, astutamente tifa un po’ per loro e un po’ per noi, pacificamente accovacciato sulla riva del fiume in attesa di conoscere il vincitore.
Oggetto del contendere è un pianeta che ha ormai superato gli otto miliardi di abitanti. Troppi. Senza neanche l’aiuto di un capocondominio paragonabile, per testa e muscoli, ai defunti vincitori di Yalta.
Non resta così che lo scontro in campo. Iniziato secondo le regole ma presto degenerato in zuffa sempre più incontrollata, dove in troppi non esitano a tirar fuori il coltello.
I démoni sembrano prevalere: sono in numero superiore e godono del favore degli spalti, gremiti da una folla di oppressi e di insoddisfatti che tifa per i cattivi, accecato dall’invidia verso coloro ritenuti immeritatamente buoni.
Come in ogni stadio che si rispetti, non c’è spazio per attente analisi o documentate mediazioni: o sei pro o sei contro. In guerra, non esistono Italiani, Giapponesi o Tedeschi, ma solo mangiaspaghetti, crucchi e musi gialli, così come musi rossi furono a loro tempo le tribù indiane dell’Ovest americano.
Schieramenti che cambiano in continuazione col prevalere dell’uno o dell’altro. Chi è nato vigliacco e servo (la maggior parte di chi affolla le curve, si tratti del Colosseo o dell’Olimpico), non esita a sgolarsi a favore di chi, in un determinato momento, pare in vantaggio. Per poi sputargli addosso non appena lo vede a rischio di sconfitta.
Nulla è cambiato dalle origini dell’Universo. Al di là del colore della maglietta, la battaglia delle battaglie è sempre la medesima: quella del Bene contro il Male. E chiunque la osservi da lontano, se privo degli strumenti necessari a distinguere l’uno dall’altro, sceglie di andar sul sicuro e tifare a gran voce chi vince.
Se così non fosse, uno tra i due, o il Bene o il Male, avrebbe dopo tanti millenni preso il sopravvento, imponendosi definitivamente. Ma una vittoria tra opposti non è per sua natura possibile: il Bene non potrebbe esistere senza il Male, e viceversa. Così come non esisterebbe la Luce se non ci fosse il Buio, o il fermarsi senza il procedere. Il Buio esiste in quanto temporanea assenza di Luce, e il Male in quanto temporanea assenza di Bene.
Dovremmo esser felici nel trovare ogni giorno brutte notizie sulla stampa: se il Male fa notizia, significa che la normalità di ogni giorno è, al contrario, il Bene. E se il Male, oggi all’attacco, riempie le prime pagine, significa che in realtà è il Bene a prevalere.
Il Bene è convinto che otto miliardi di persone su un piccolo pianeta di 12.756 km di diametro, per poter sopravvivere debbano nel prossimo futuro unire ancor più le risorse e le forze, usando al meglio quelle tecnologie che ormai consentono di interagire in tempo reale e alle merci di raggiungere in brevissimo tempo ogni angolo del mondo.
Il Male sa che per assicurare ai propri adepti un più alto stile di vita – maggiori consumi (legali e no), maggiore salute, maggior benessere – deve contenere la crescita della popolazione mondiale. Con le buone (affamandola) o con le cattive (uccidendola). In una sola frase: «Guerra sola igiene del mondo», come Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo, intitolò nel 1911 una celebre raccolta di scritti.
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Giorno dopo giorno, gli schieramenti in campo vanno sempre più nettamente definendosi.
Il Male può fare affidamento su un Trump mai così voglioso di appropriarsi dell’intero continente americano, dalla Groenlandia alla Terra del Fuoco, ma anche su un Putin affamatore del suo stesso popolo, incapace di produrre alcunché ma esperto nel depredare terre e ricchezze altrui, o su un Xi Jinping alle prese col tardivo declino dell’età industriale in Cina, ma pronto a replicarla in Africa, dove quel modo di produzione è ancora è agli albori.
Il Bene non ha dalla propria parte che una minoranza di persone di senno, sparse in ogni angolo del Pianeta, dal Giappone all’Australia e al Canada, ma del tutto prive di una forza politica e militare che possa rappresentarle.
Chi guarda all’Europa, se davvero persona di senno lo è, sa benissimo che l’«Europa» non esiste, se non come regione geografica, così come a suo tempo l’Italia prerisorgimentale.
Esistono l’Unione Europea, l’Eurozona, l’Area Schengen, frutto di reciproci trattati commerciali ma privi di alcuna forza legislativa o esecutiva, che resta nelle mani di ciascuno Stato delle tre unioni. Ed esistono i singoli Stati: preda tanto facile quanto ricca e appetitosa per chiunque (tutti!) intenda impadronirsene.
L’inesistente Europa non è una delle forze politiche o militari in campo: è il bottino. Un facile, facilissimo bottino. E gli Europei, che l’hanno capito benissimo, stanno già lì a scegliersi ciascuno il nuovo padrone (o meglio: il vecchio padrone): chi bacia le chiappe a Trump, chi canta le lodi di Putin, chi si pente d’aver detto no alla trappola cinese della Via della Seta...
Asservirsi per tempo è solo una delle due possibili vie per salvarsi, seppure strisciando.
La seconda possibile via è una ed una soltanto: cedere adesso parte della propria sovranità per dar vita ad un vero Stato Federale Europeo. Che è pur sempre meglio del cederla per intero ad una delle tre potenze straniere in lotta.
Quel che rende difficilmente praticabile questa secondo tragitto è l’assenza di persone in grado di guidarlo. Scomparsi i De Gasperi, gli Adenauer, i Churchill, gli Schuman, messi all’angolo i Draghi e le Merkel, non si vede alcun Garibaldi o Mazzini all’orizzonte, pronto a spendersi per un nuovo Risorgimento Europeo.
Nel buio più assoluto, solo un lumicino si intravvede a malapena, ed è il cosiddetto «gruppo dei volenterosi», quel primo nucleo di Paesi europei che ha finora raccolto l’adesione di 37 nazioni, pronte quanto meno a resistere, se non immediatamente a combattere, contro minacce ormai sempre più incombenti, sempre più assordanti.
Se mai una Quarta Europa dovesse nascere – un’Europa della Difesa, accanto alla UE, all’Eurozona e all’Area Schengen – c’è da sperare che essa trovi al proprio interno non soltanto la forza politica, economica, militare, ma anche uomini in grado di indirizzarla e di guidarla. Verso la costituzione del nuovo Stato Federale Europeo.
Con chi ci crede e con chi ci sta, inizialmente.
Con l’intero continente, dal Regno Unito alla Norvegia, dall’Ucraina al Portogallo, auspicabilmente.

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