È un suicidio non annunciato, l’esito finale della lunga traversata nei gazebo che ha visto contrapposti due personaggi diversamente inadeguati, maschere caricaturali delle due contrapposte anime dell’ex partito ora mutatosi in neo movimento: il piddì di (debole) lotta e il piddì di (debole) governo.
E così come la disfatta di Settembre certificò l’acquisita incapacità del piddì di proporsi credibilmente alla guida del Paese, l’affermazione dell’ala francescana dimostra l’impossibilità di dar vita ad una vera opposizione capace di proporre una visione, un progetto e un modello di vita che vada oltre la sguaiata protesta o lo sberleffo del momento.
Un percorso scivoloso e in discesa che rischia di dissolvere tra le zampe dei cinquegrilli l’illustre eredità dei Gramsci, dei Togliatti, dei Berlinguer, nell’illusione che una grande politica possa nascere dalla somma di limitate e limitanti richieste di rivalsa, alimentate da un’attenzione agli immediati bisogni delle più sparute minoranze nel totale e antidemocratico disprezzo delle maggioranze. Come dei Robin Hood al contrario: che rubano alla collettività a esclusivo vantaggio di pochi.
Ma una formazione politica che si inchioda alla quotidianità del presente, ignara del passato e incapace di disegnare un futuro, neppure è più degna d’esser chiamata partito, e neanche movimento.
Somiglia piuttosto a una via di mezzo tra l’interessata beneficenza delle dame di carità e il peggior sindacalismo d’accatto, pronto a difender tutti ma incapace di costruire alcunché.
D’altra parte, se pure avesse vinto il salumiere a spese della fatina, il risultato sarebbe stato opposto ma non per questo migliore. Un’affermazione dell’ala faccendiera del partito ne avrebbe consolidato la spinta a ripiegarsi in se stesso, alzando barricate a difesa di posizioni poco faticosamente conquistate e scavando trincee dove nascondersi, in assenza di un ideale sufficientemente alto da meritare un pur minimo accenno di battaglia.
Ha vinto la fatina. Dopo sei mesi di partito senza segretario, inizia adesso la lunga stagione di una segretaria senza partito.
Qualcuno se ne andrà, qualcun altro ritornerà, qualcosa comunque accadrà.
Ma nulla di nuovo. E nulla di meglio.
Un percorso scivoloso e in discesa che rischia di dissolvere tra le zampe dei cinquegrilli l’illustre eredità dei Gramsci, dei Togliatti, dei Berlinguer, nell’illusione che una grande politica possa nascere dalla somma di limitate e limitanti richieste di rivalsa, alimentate da un’attenzione agli immediati bisogni delle più sparute minoranze nel totale e antidemocratico disprezzo delle maggioranze. Come dei Robin Hood al contrario: che rubano alla collettività a esclusivo vantaggio di pochi.
Ma una formazione politica che si inchioda alla quotidianità del presente, ignara del passato e incapace di disegnare un futuro, neppure è più degna d’esser chiamata partito, e neanche movimento.
Somiglia piuttosto a una via di mezzo tra l’interessata beneficenza delle dame di carità e il peggior sindacalismo d’accatto, pronto a difender tutti ma incapace di costruire alcunché.
D’altra parte, se pure avesse vinto il salumiere a spese della fatina, il risultato sarebbe stato opposto ma non per questo migliore. Un’affermazione dell’ala faccendiera del partito ne avrebbe consolidato la spinta a ripiegarsi in se stesso, alzando barricate a difesa di posizioni poco faticosamente conquistate e scavando trincee dove nascondersi, in assenza di un ideale sufficientemente alto da meritare un pur minimo accenno di battaglia.
Ha vinto la fatina. Dopo sei mesi di partito senza segretario, inizia adesso la lunga stagione di una segretaria senza partito.
Qualcuno se ne andrà, qualcun altro ritornerà, qualcosa comunque accadrà.
Ma nulla di nuovo. E nulla di meglio.
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