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Il salumiere e la fatina

Mai traversata fu più estenuante, per un piddì in precario equilibrio sulla sottilissima corda malamente sorretta dai candidati leader che ne stanno agli estremi. 

Da un capo regge la fune il salumiere emiliano, intento a macinare pezzi informi di partito nell’inane tentativo di insaccarli, pur sapendo che dopo breve stagionatura non mancherà chi si adopererà per affettarli. 

Dall’altro la sorridente fatina che con la bacchetta spande nell’aria una luccicante scia di stelline. Cinque. Per l’esattezza. 

Un arguto democristiano d’epoca ha guareschianamente definito il primo come il «Peppone del Terzo Millennio»: non solo per la stazza, quanto per l’attitudine a ordire scherzi da prete capaci di stupire gli stessi preti. E c’è chi vede nella seconda la giovane condottiera pronta a guidare il piddì verso una resa dei conti che troppi intendono come una «resa al Conte», con conseguente spargimento nel cielo (stellato) delle ultime ceneri del defunto partito. 

L’astuto salumiere gode di ampi consensi tra l’ala faccendiera del partito, non certo minoritaria, dedita alla spartizione di incarichi e poltrone. 

La svolazzante fatina suscita invece gli entusiasmi dell’ala francescana, neanch’essa minoritaria, più vocata alle gioie della beneficenza che non alle asperità della politica.

Nessuna delle due parti si sogna tuttavia di scoprire le carte in tavola. Non ci si confronta su princìpi, obiettivi, idee o contenuti, ma su luoghi, date e modalità del congresso, sull’estetica dei gazebo, sulle opportunità del più maneggevole (e maneggiabile) voto on-line, sulle proposte di una nuova denominazione, di un nuovo simbolo, di una nuova bandiera… 

Quasi che cambiar le lampade e tinteggiare i muri bastasse a consolidare le pericolanti fondamenta dell'antico edificio. 

Che dire? Se solo si riuscisse a sfruttare l’energia rinnovabile generata dai Gramsci, dai Togliatti e dai Berlinguer, i cui corpi ruotano da qualche decennio in moto perpetuo nelle loro tombe, ci si potrebbero illuminare dieci o venti città. Se non i cervelli di quanti mostratisi finora incapaci di gestire un’eredità tanto importante, stirando il partito fino al limite della scissione. 

Nessuno ha la soluzione in tasca, ma una timida proposta ci permettiamo tuttavia di avanzarla. I due contendenti prendano sin d’ora un solenne comune impegno: quello di rimettere in moto le rotative de «L’Unità», da troppi anni preda della ruggine. 

La tradizione è illustre, il nome di buon auspicio. E se divisioni e diversità all’interno del partito esistono, è giusto e più utile portarle all’esterno. 

Non è immaginabile, nel pieno dell’età della comunicazione, che un partito che ne è stato l'antesignano si ritrovi privo di un organo di stampa attraverso il quale render pubblico e trasparente un dibattito che – quando condiviso – potrebbe rivelarsi fecondo di proposte ed idee, piuttosto che tenerselo chiuso dentro a far da carburante a sterili lotte intestine. 

E chissà che i rodimenti interiori di un partito inconscio del proprio passato, incapace di dominare il presente, miope di fronte al futuro, esternati sul lettino di un pubblico psicologo non possano diventare il motore di una nuova consapevolezza e di un ruolo più determinante e incisivo per il domani del Paese. 

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