Da una parte un governo che giusto ieri ha posto a segno un colpo magistrale infilando in terra d'Algeria la cannuccia con la quale l'intera Unione potrà presto succhiare quel gas che il demone russo le nega, e sarà l'Italia a manovrare il rubinetto. Dall'altra una banda di scapestrati che, in mancanza di un mandriano che li tenga al guinzaglio, sparpagliati in un ventaglio che vorrebbe tener insieme in un sol partito gilet gialli e ministri, conservatori e rivoluzionari, filorussi e filoamericani, terrapiattisti ed astronomi, nomadi e stanziali, grilli ed esseri umani, pretende che siano i partiti (per giunta in minoranza) a dettare la linea ai governi. Ai quali, invece, la Costituzione prescrive come unico dovere quello di rendere esecutive le leggi che il Parlamento scrive ed il Capo dello Stato promulga. Fedeli, come da giuramento, solo ed esclusivamente alla Nazione, non certo alle associazioni delle quali i propri ministri facciano eventualmente parte, siano esse il Milan Fan Club o il Movimento Fan con quel che segue.
Anche perché, mentre ogni governo ha un unico programma, condiviso dal Parlamento che lo approva col voto di fiducia, ciascun partito o movimento ne ha uno differente. Ma un conto è confrontarsi in Parlamento intorno a tante visioni e proposte divergenti, spesso opposte, nel tentativo di arrivare a un minimo comune denominatore («trovare la quadra», nella lingua barbarica imposta dal Bossi), un altro è pretendere di dirigere un Paese avendo davanti a sé dieci differenti spartiti, anziché uno soltanto. O asserire che un uomo solo possa guidare un'auto equipaggiata con trenta pedali e dieci volanti. Una carrozza con dieci cavalli che puntano in direzione diversa, in virtù di una banale somma di vettori rimane ferma.
Lì sta la colpa di Conte, davvero inattesa in colui che è stato comunque un buon uomo di governo, capace di districarsi in situazioni anche complesse: il voler trasformare quello che è un auspicabile confronto tra governo e Parlamento (più che legittimo, dal momento che trattasi di organi separati dello Stato, dunque animati da quella sana conflittualità che consente ad essi di controllarsi a vicenda) in un violento scontro tra un governo legittimamente nominato ed una sorta di governo ombra: quel governo Conte che il nostro piccolo Trump fermamente ritiene esser stato truffaldinamente scalzato dal governo Draghi. Quello che i suoi sodali amano definire Conticidio.
Così, anziché far valere le proprie ragioni in Parlamento – sede a ciò istituzionalmente preposta – Conte ha preferito redigere un roboante cahiers de doléances che è in realtà un programma alternativo di governo volto a sconfessare quello a suo tempo approvato dai suoi alle Camere. Per giunta presentato a muso duro e accompagnato da gesti e strilla di offesa, di rabbia e di scherno nei confronti del presidente del Consiglio tuttora in carica.
Appiccato l'incendio, di fronte a un tal liberi tutti gli altri partiti non hanno voluto esser da meno. Dopo cinque giorni di fuochi incrociati, il piddì (unico vero perdente, come piace alla casa) vede improvvisamente restringersi quel campo che illusoriamente immaginava largo; il Bandana, amoreggiando con Salvini per ingelosir Meloni, lancia il «sì Draghi ma senza lattosio» (senza i cinquezampe); la Meloni, dal canto suo, sarà domani in piazza Vittorio a Roma col suo Vogliovotare! (lo vorrebbero tutti, se solo esistesse quella libertà di voto negata dal Rosatellum). Sostanzialmente fuori dai giochi i nanopartiti da giardino di Renzi e Calenda, ma proprio per ciò i soli autorizzati a dire la verità: Draghi serve al Paese, i cinquegrulli a niente e a nessuno. Verità rilanciata in tutto il pianeta (quello tondo, non quello piatto) da capi di Stato, istituzioni comunitarie e internazionali, stampa estera, sindaci e presidenti di regione italiani, ceti produttivi. Confermando così come nessuno dei maggiori partiti in Italia sia oggi sintonizzato sul mondo reale, anziché sul proprio ombelico.
Quel che accadrà domani non siamo autorizzati a dirlo. Ma se l'ostacolo è uno soltanto, la soluzione che da millenni con successo si pratica (tranne che a Roma con l'immondizia) è quella di rimuoverlo. Liberarsi dei cinquegrulli non è poi così difficile, se si considera che il grosso del lavoro lo stan già facendo da sé, senza alcun bisogno d'aiuto.
Alla Camera un sostanzioso gruppetto è già fuori, al Senato un altro potrebbe presto aggiungersi. Se solo lo facesse prima delle 14:00 di domani 20 Luglio, Draghi non troverebbe più in aula quei cinque stelle ai quali giustamente chiedeva di tener fede agli impegni, ma un'innocua combriccola di due più due stelle più un'altra raminga stella solitaria, buona forse per rallegrare la bandiera turca o quella dell'ex URSS: la stella (cadente) di Conte.
Staremo a vedere. O meglio: starete. Noi, da quassù, abbiamo già visto tutto.
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