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Osteria del Rosatellum

Inutile lamentarsi se tra le varie specie che allignano nel vostro Parlamento, quella umana è decisamente minoritaria. E tampoco serve indignarsi se le altre istituzioni che elettoralmente da esso discendono, finiscono col replicarne la medesima percentuale zoologica. 
Il problema sta come sempre alla radice: in una legge sedicente elettorale (una delle tante, di volta in volta confezionate a misura della maggioranza del momento) che non consente in realtà di eleggere alcunché. L'elettore (si fa per dire), può tutt'al più esprimere una vaga simpatia per un partito, ma in nessun modo può scegliere tra i nomi proposti sulla scheda quello di suo maggior gradimento. 
Tale legge anelettorale, ancor oggi vigente – se, valida, non verrà una man dal ciel a disintegrarla – si fregia del nome del suo ideatore. Si chiama Rosatellum, non Socratellum o Aristotellum, perché l'illustre pensatore che l'ha redatta si chiama Ettore Rosato, oggi presidente dell'aspirante partito Italia Viva. 
L'alto ideale che impregna di sé il sacro testo è l'intento di accontentare tutti senza scontentare nessuno. Tranne l'elettore: componente di scarsa o nessuna importanza. 
Per accattivarsi tanto i fautori del proporzionale quanto i tifosi del maggioritario, la legge è per due terzi proporzionale e per un terzo maggioritaria. Ciascun partito può presentare un solo candidato per la quota maggioritaria e una lista bloccata che contenga non meno di due nomi ma non più di quattro. È tuttavia permesso ai candidati, maggioritari e no, far parte di più liste in diversi collegi. 
Il risultato voluto è l'impossibilità di indicare fra i tanti candidati quell'eventuale raro esemplare di specie umana che dovesse sfuggire alla selezione dei partiti e finire per sbaglio sulla scheda. 
Potrebbe quindi accidentalmente succedere che la scheda in cabina rechi stampata la lista panzoologica Fuffi, Dudù, Camillo Benso Conte di Cavour e Pippo.  Se io volessi (tentare di) eleggere Cavour, non potrò indicarne il nome, ma sarò costretto a votare l'intera lista. In tal modo, se il numero dei voti raccolti non sarà sufficiente per eleggere tutti e quattro i nomi, ma soltanto due, Fuffi e Dudù entreranno in Parlamento, Cavour invece no. 
Ma immaginiamo che il partito presentatore di lista riesca invece ad eleggere tre su quattro dei candidati. Teoricamente anche Cavour risulterebbe eletto, al pari di Fuffi e Dudù. In realtà può invece succedere che Cavour, candidato in quattro o cinque diversi collegi e risultato vincitore in tre di essi, opti per un collegio differente dal mio, e finirei col ritrovarmi al suo posto Pippo, ultimo dei ciappuzzi, eletto a mia insaputa quale mio rappresentante. 

Nella disgrazia, una sola fortuna: Ettore Rosato non è titolare di un ristorante. 
Se lo fosse, il menù consterebbe di quattro sole portate, più una obbligatoria. 
Un bel menù fisso, osserverebbe qualcuno. Ma neppure così certo, perché i medesimi piatti sono proposti anche in altri ristoranti della medesima catena, e se un avventore in un altro locale dovesse ordinare la pietanza migliore prima di me, al mio tavolo verrebbe servita tutt'altra cosa. 
Più che un ristorante, una mensa aziendale: cinque portate prendere o lasciare, e neppure la certezza di vedersele realmente portare in tavola. 

Nulla vieta che una legge elettorale possa essere proporzionale, mista o maggioritaria, a singolo o a doppio turno, o come altro si voglia. Ma è necessario che rispetti un requisito fondamentale e, possibilmente, un'auspicabile norma. 

Il requisito, come specifica l'aggettivo stesso, è che «elettorale» lo sia per davvero. Ossia che consenta all'elettore di indicare col proprio voto un candidato univoco e reale, con un nome e con un cognome. 
Liberissimo il ristoratore di redigere a proprio piacimento l'elenco dei suoi manicaretti. Ma altrettanto libero dev'essere l'avventore di scegliere da quella lista il piatto che preferisce. Oppure di cambiar ristorante, se i piatti proposti son poco meno che immangiabili.
Qualsiasi sistema elettorale, comunque confezionato, è da considerarsi buono solo e soltanto se consente all'elettore di esprimere col proprio voto un nome e un cognome. O «elettorale» non è.

La norma auspicabile, invece, è che un'eventuale nuova legge che regoli l'elezione dei Parlamentari venga finalmente inserita in Costituzione, così che sia meno agevole per i partiti stracciarla ad ogni nuova elezione per abborracciarne in poche ore una nuova, nella speranza che possa favorire chi la inventa. 
Come riporta in una pubblicazione Andrea Gratteri, docente di Diritto a Pavia: «Se si prendono in esame le Costituzioni dei ventisette Paesi dell’Unione europea, della Croazia ormai prossima a divenire il ventottesimo Stato membro e le Costituzioni delle tre democrazie europee consolidate ad essa estranee (Svizzera, Norvegia e Islanda) si può facilmente verificare che su un totale di trentuno testi costituzionali ben venti accolgono la costituzionalizzazione del sistema elettorale; mentre altre dieci Costituzioni si affiancano alla Costituzione italiana e non contengono alcuna indicazione in merito alle caratteristiche fondamentali del sistema elettorale» [A. Gratteri: «In Europa votano così: Costituzioni e sistemi elettorali», 26.09.2012]. 
L'inserimento in Costituzione spingerebbe forse i Parlamentari ad affrontare con maggior serietà e con lo sguardo rivolto al futuro, più che all'immediato, la redazione di un testo condiviso e privo di interessate quanto poco limpide ambiguità. 
L'alternativa, da tempo sotto i nostri occhi, è quella di rassegnarsi ad urne sempre più vuote, capaci di attrarre solo chi quel voto è stato costretto a esprimerlo o chi ha un qualche concreto guadagno nel farlo. 
Il risultato finale resterà certo quantitativamente invariato. Ma – ahimè – qualitativamente avariato.  
 
 

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