Come già accadde per il rave, molte delle motivazioni contenute nei 39 articoli del nuovo decreto sono in gran parte istintivamente condivisibili, ma ad un’analisi più attenta è facile comprendere quanto difficilmente a quelle parole (vane) potranno seguire i fatti (reali).
Che i blocchi stradali e ferroviari fossero incompatibili col vivere civile era cosa ben nota, già punibile sotto altri nomi: interruzione di pubblico servizio, attentato alla sicurezza, resistenza a pubblico ufficiale ed altre infrazioni a seguire. Ma in assenza di una reale volontà di perseguirli, ci si inventa il nuovo reato di «blocco stradale». Al quale si accoda quello di «imbrattamento di beni ed edifici pubblici», laddove sarebbe sufficiente un custode, come accade in ogni scuola, ospedale, municipio, teatro o caserma nel mondo, per contrastarlo in misura decisamente più immediata ed efficace.
Bene anche le body-cam per gli agenti in servizio, ma ancora non si parla di impedire l’uso dei telefonini nelle carceri, provvedimento che non richiederebbe né arresti né manette (solo un semplice jammer), ma del tutto inviso al personale di custodia, avvezzo a chiamar la moglie quand’è l’ora di buttar la pasta.
Comprensibili anche le limitazioni alla coltivazione e al commercio della canapa light, in definitiva non dissimili da quelle che regolano in Italia la produzione e la vendita del tabacco.
Cialtronesca, invece, la norma sulle occupazioni abusive, spacciata come fine di ogni occupazione (già impedita dall’art. 633 CP) ma in realtà limitata ai soli edifici eletti a domicilio, escludendo in tal modo non solo le seconde case, ma anche le prime, come accade a chi è costretto a spostare altrove il domicilio perché temporaneamente trasferitosi per motivi di lavoro.
È una norma civetta, in perfetto stile rave, che strizza l’occhio alla popolazione impaurita ma, di fatto, aumenta le tutele di chi, come «Casapound», occupa immobili pubblici e privati per poi affittarli ai propri affiliati, che lì eleggono domicilio.
Specchietto per le allodole, poi, l’aggravamento delle pene per i reati perpetrati in prossimità di una stazione ferroviaria, intorno alle quali certamente gravita una gran quantità di criminali, accattoni, senzatetto, ma ciò accade perché è tacitamente consentito loro di dormire indisturbati nelle carrozze ferroviarie in sosta. Anche in questo caso, un servizio di vigilanza notturna negli scali ferroviari (mordere) otterrebbe forse migliori risultati di un tanto scomposto abbaiare.
Possente latrato sono anche le severissime pene per chi fomenta atti di terrorismo e diffonde manuali di fabbricazione di armi ed ordigni esplosivi: reati già ampiamente perseguibili con le norme esistenti, evidentemente ignote a chi avrebbe invece il dovere istituzionale di renderle esecutive.
Ridicolo, poi, il divieto di acquistare schede telefoniche senza mostrare un documento di identità (obbligo peraltro da tempo in vigore), laddove anche qualsiasi telefonino del tutto privo di scheda è oggi in grado di comunicare anonimamente e gratuitamente con tutto il mondo via app e wi-fi.
Assordante ululato canino, infine, quello indirizzato a chi truffa gli anziani, quasi che truffare un bimbo fosse un reato meno grave, quando la vera questione è invece il fatto che i bimbi non votano, ma gli anziani sì.
— Tanto rumore per nulla —, direbbe il Bardo.
— E il modo ancor m’offende —, aggiungerebbe il Sommo.
Eh sì! Perché al contenuto insulso delle norme si aggiunge l’inusitato furore con cui esse son state imposte per via extraparlamentare.
Quando un sereno confronto nelle aule avrebbe forse potuto condurre a più equilibrati ed efficaci consigli, piuttosto che a una simile indisponente sequela di sguaiati quanto inutili guaiti.
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