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Tutto è male, quel che comincia male

È stato definito l’11 Settembre israeliano l’attacco a sorpresa dei miliziani palestinesi di Hamas, che rinfocola un pericoloso cratere di guerra nel mezzo di uno storico riavvicinamento tra lo Stato ebraico ed un’Arabia Saudita sempre più protesa verso una civile convivenza e la modernità. 

Non diversamente dal tragico 2001 americano, anche l’attacco islamico del 7 Ottobre tanto più stupisce quanto più inatteso. 

Nessuno avrebbe mai potuto ipotizzare allora, in USA, un’azione come quella dei dirottatori islamici di Al Qaeda: portata a termine non con missili nucleari od altri sofisticati armamenti, ma con banali coltelli da cucina. 

Tanto bastò, agli improvvisati piloti addestratisi sui videogiochi Microsoft, per impadronirsi di quattro aerei di linea e lanciarli con gesto suicida su altrettanti bersagli altamente simbolici. Tre dei quali centrati. Tutto ciò in una nazione che poteva fino a quel momento vantarsi di non esser mai stata direttamente colpita dal nemico sul proprio territorio. 

La risposta militare americana, ispirata non certo all’evangelica altra guancia quanto piuttosto al biblico occhio per occhio e dente per dente, colpì disordinatamente nel mucchio, da Guantanamo all’Iraq, annientando a caso colpevoli, fiancheggiatori e innocenti. Alla stessa maniera di Al Qaeda. 

Anche l’improvviso attacco di Hamas sul suolo israeliano può dirsi del tutto inaspettato, in una regione mai stata così tranquilla come in questa fase di rappacificamento coi Paesi più attenti del mondo arabo. E ancor più stupisce la cecità dell’onnisciente e onnivedente Mossad, il mitico servizio segreto israeliano, rivelatosi stavolta incapace di percepire quanto, come e quando andava ribollendo lungo le frontiere orientali. Figuraccia planetaria in gran parte riconducibile all’inettitudine di un governo ultimamente più impegnato a battagliare sul fronte interno, per contenere le opposizioni, che non a presidiare i confini esterni. 

La sveglia è suonata anche e soprattutto per lui: per il capo dell’esecutivo Benjamin Netanyahu. Che si è impegnato ad avviare un’immediata «bonifica» dei simpatizzati islamici all’interno del Paese e conseguente tabula rasa all’esterno. Dove la striscia di Gaza, per la gioia degli ambientalisti, rischia d’essere restituita così come fu creata al deserto. 

La Storia avrà il suo da fare, nel raffrontare la crisi ucraina con lo scenario che va prefigurandosi sullo scacchiere mediorientale: due eventi al momento privi di apprezzabili connessioni.  

Lì una Russia ventotto volte più grande tenta di impadronirsi di un territorio che in un passato recente li ospitò ma mai gli appartenne: con una vile aggressione presto scontratasi con un’eroica resistenza. 

Qui un improvvisato esercito di profughi tenta di invadere un Paese sessantuno volte più grande del loro, rivendicando un territorio che in un passato recente gli appartenne: vile aggressione, anche in questo caso, ma con opposto rapporto di forze. Il piccolo minaccia il grande, ma senza dar prova di determinazione e coraggio. 

L’inevitabile pronta e ferma reazione del Paese aggredito, forse scomposta, forse sproporzionata, forse ingiusta, forse crudele, potrebbe anche in questo caso punire indiscriminatamente colpevoli, fiancheggiatori e innocenti, come già dopo il 2001 la rabbia americana in Iraq.

Il mondo cristiano non ha mancato di esprimere piena solidarietà al popolo di Israele. I moderati islamici invitano anch’essi alla calma, interessati quanto mai prima alla stabilità dell’area. L’Iran, stando alle dichiarazioni di un portavoce di Hamas, sostiene militarmente gli aggressori. Putin, temendo forse un dirottamento in tale direzione delle forniture militari oggi destinate alla Russia, chiede un immediato cessate il fuoco.

La partita è aperta, ed è in pieno svolgimento. Solo un fatto al momento pare certo: sebbene l’attuale governo di coalizione rischi di uscirne indebolito, forse proprio per quel motivo, costretto a stringersi in una ritrovata unità, lo Stato di Israele ne uscirà certamente rafforzato. 

Scrollatasi ogni presenza ostile ad oriente ed imbavagliata la componente islamica all’interno, rassicurato dal positivo dialogo con Emirati e Sauditi, anch’essi desiderosi di contenere la pressione iraniana, Israele si avvia a definire ancor meglio nello scacchiere mediorientale il proprio ruolo di superpotenza regionale.  

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