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Partiti e spartiti

Sorprende la meraviglia dei partiti (che poi partiti neppure più sono, se non decidono da che parte stare) per la scarsa affluenza al voto in Lombardia e nel Lazio, inchiodata rispettivamente al 41,67% e al 37,2%. 

Non si comprende il perché di tanto stupore. Si tratta di elezioni amministrative, il cui fine non è quello di affermare un’egemonia politico-ideologica ma di eleggere i membri di un consiglio regionale e il suo presidente. 

Quel fine è stato pienamente raggiunto, e tanto basta. 

Quanto agli elettori, non si può certo dire che non si siano espressi, se è vero che il silenzio è una discussione portata avanti con altri mezzi (Che Guevara). 

È stato un silenzio rumoroso, per alcuni assordante. Ma del tutto prevedibile. Speculare risposta al più colpevole tacere di chi non è stato in grado di esprimere né dei candidati spendibili né un pur sommario accenno di programma. 

In Lombardia erano in lizza due esseri umani e un frillo. È stato prescelto uno dei due esseri umani: forse non il più capace, ma per esperienza il più affidabile. 

Nel Lazio non c’era un solo volto onestamente presentabile, e ciò basta a spiegare l’affluenza ancor più deludente. È stato premiato il più romano tra i due romani, e bastonata l’intrusa ligure.

Mazzolati e doloranti tanto i cinquegrilli che i renzocalendi, chi più ha gioito del pessimo risultato è stata la fabbrica del duomo di un piddì in congresso permanente. 

«Chi pensava di crescere sulle spalle dei dem adesso dovrà ricredersi», dichiara raggiante un tal Serracchiani. Scavando ancor più il fossato che separa il partito da quelle forze che ne stanno alle ali, presagio di nuove disastrose disalleanze. 

Felice di aver sconfitto almeno gli amici, nell’incapacità di scalfire il nemico, lungi dal portare avanti una seria autocritica la capotruppa si augura «un Pd forte che metta in campo azioni politiche chiare e concrete che rispondano ai bisogni delle persone: i salari, le pensioni, la sanità pubblica, la tutela dell’ambiente, la lotta alle diseguaglianze…». 

I bisogni delle persone, si badi bene. Non quelli del Paese. In una visione corta e onfalocentrica di stampo sindacale, orientata all’immediato e incapace di indicare, progettare e costruire un qualsiasi futuro.

Di strade da asfaltare, di scuole da costruire, di grandi opere da realizzare, di sicurezza pubblica da garantire, di organizzazione statale da modernizzare, di una legge elettorale che restituisca alla popolazione il diritto di voto, dell'Italia che vorremmo, di quello guai solo a parlarne. 

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