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Una casa per l’Europa

Non basta che un uomo e una donna si incontrino, per metter su famiglia. Così come non basta introdurre un foglio dentro una busta per farne una lettera.

Una lettera, dopo esser stata ben chiusa, necessita di un indirizzo preciso, di qualche soldo per il francobollo, di un timbro che ne certifichi la regolarità.  

Vale per le lettere, vale per gli individui, vale per gli Stati. 

Chi rimescola in bocca la parola «Europa» riferendola ora all’Unione Europea, ora all’Eurozona, ora all’Area Schengen, ora ad un inesistente Stato o governo europeo, e pretende che quella denominazione possa incarnare, alla vigilia di una lunga stagione di guerre, un comune ideale, una comune unità d’intenti, una comune strategia d’azione, un comune potere, magari sotto l’accorta guida di un governo comunitario (che non esiste), parla di cose molto distanti dalla verità. 

Così come fuori dal matrimonio un uomo e una donna non possono definirsi «famiglia», ma tutt’al più una coppia, un gruppo di nazioni pur legate da molteplici accordi concernenti molteplici materie, avvantaggiandosi l’una dell’altra senza peraltro spendersi l’una per l’altra, non un gruppo di amici sul medesimo pullman ma una lunga fila d’automobili di differente qualità, annata e prezzo, ciascuna con al volante il proprio più o meno capace e disciplinato autista, a tutto somiglia meno che ad una forte e coesa famiglia. È invece assai più simile ad un piacevole quanto esclusivo club per single: un luogo conviviale dove stringere amicizie e stipulare proficui accordi, certo. Almeno fino a quando qualche nemico esterno, invidioso di tanto facile ed elegante buon vivere, non si prefigga di impadronirsene o distruggerlo. 

Che sia infine giunto il tempo, per l’Europa, di diventare adulta? Di metter su famiglia? 

Svantaggi della famiglia. Chiunque ne faccia parte, moglie, marito, figlio o nipote che sia, dovrà comunque sacrificare, ad un certo prezzo, una quota della propria libertà individuale: si tratti di dividere il bagno o il letto, o parte del proprio tempo. 

Vantaggi della famiglia. Gli individui son destinati a morire. La famiglia, il più delle volte, no. Al contrario, può allargarsi e crescere in misura esponenziale. Da minuscolo semino, facile preda di qualsiasi becco d’uccello, può trasformarsi in albero possente ed inestirpabile. Genealogico, ma pur sempre albero. Quando non addirittura una foresta. 

L’Europa deve farsi famiglia. Quella busta con ventisette fogli all’interno dovrà pur farsi lettera, se vorrà infine raggiungere la meta. E per farlo necessiterà di un indirizzo esatto, di sostenere il costo dell’affrancatura, di un timbro che la legittimi. Fuor di metafora: di uno statuto condiviso (una Costituzione Europea, tentata e fallita in passato); della solidità patrimoniale garantita da una valuta comune (come il dollaro è, ma l’euro ancora non è); del riconoscimento da parte del mondo di confini territoriali europei, mai scolpiti su una mappa e pertanto ancor oggi incerti, insicuri e indifendibili. 

Messa su casa, riposto sotto il materasso qualche soldo, vergate su carta le regole e riconosciuto un capofamiglia, chiuso il portone, recintato il cortile ed affissa la targhetta col nome, si potrà finalmente parlare di «Europa», riconoscibile e riconosciuta dai vicini come una sola famiglia. Non più vago, generico, elastico ed indefinito continente, ma finalmente Stato, finalmente Nazione. 

Molti saranno i dubbi. Molte le obiezioni. 

Possono farsi Stato ventisette Paesi dove si parlano ventiquttro lingue ufficiali? 

La risposta è sì. Ci si sposa anche tra Finlandesi e Giapponesi, tra Tedeschi e Thailandesi, tra Americani ed Egiziani, e tutti finiscono col comprendersi. 

Trentuno lingue e dialetti non hanno impedito a Mazzini e Cavour di riunire sotto la medesima bandiera un’Italia ancora analfabeta. Stati federali come il Canada o la Svizzera condividono più d’una lingua, e non è lontano il tempo, negli USA, in cui il britannico idioma soppiantò il Francese nell’Est e lo Spagnolo nel Sudovest, tuttora largamente presenti nella toponimia.

Possono farsi Stato ventisette Paesi tanto diseguali per dimensioni, economia, tradizioni, Storia?

La risposta è ancora sì. Ci si sposa tra ricchi e poveri, tra giovani ed anziani, fra nobili e trovatelli, tra atleti e disabili... Nulla può ostacolare chi è determinato a costruire un futuro insieme.

Possono farsi Stato ventisette Paesi non tutti in pari misura orientati a farlo?

Certamente sì, se davvero lo vogliono. Ma neppure sono obbligati a farlo, se non ne sono fino in fondo convinti. 

Il mondo è fatto di famiglie e di individui. Sposarsi non è un obbligo. Si può liberamente scegliere come, dove e con chi vivere. Non tutti convolano a nozze. C’è chi si fa frate e chi vagabondo; chi esploratore e chi eremita; chi si toglie la vita e chi la dedica al prossimo. 

L’Unione Europea, l’Eurozona, l’Area Schengen e persino l’ultima nata (l’Europa dei «volenterosi») sono altrettanto libere di scegliere se metter su famiglia o continuare a frequentarsi ed incontrarsi, con minore impegno, nei luoghi più disparati. 

Auspicando che quei luoghi rimangano per sempre anch’essi frequentabili e sicuri, ed il clima dolce e confortevole. 

In caso contrario, potrebbe rivelarsi più salubre, gradevole e proficuo restarsene in casa. 

Avendo avuto per tempo l’accortezza di costruirsela, quella casa. 

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