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Croceristi in Terra Santa

C’erano una volta i Crociati. Sbarcarono armati in Terra Santa nel 1099 e ci rimasero per quasi due secoli, massacrando chiunque non si dichiarasse cristiano. 

Oggi ci sono i Croceristi. Tenteranno anch’essi di posar piede in Terra Santa, e non per combattere il nemico, quanto piuttosto per aiutarlo. 

Contano di spaventare Israele presentandosi ai loro confini con un gran numero di barchette, non tutte in grado di affrontare la traversata, mentre danzano e sventolano bandiere di cui neppure conoscono il significato, 

— È per portare aiuti alle popolazioni oppresse. Essi dicono. Scordandosi che è stata la tribù di Hamas, con due milioni di seguaci, ad invadere il piccolo Stato ebraico, non diversamente da quel che la Russia ha fatto ai danni dell’Ucraina. 

La piccola flotta avrebbe meglio potuto volger la prua verso Odessa, e portare aiuti agli assediati. Ma se ne guarda bene. Come i bambini alle soglie dell’adolescenza – quand’essi decidono che i loro più grandi nemici sono i genitori, che non li fanno uscire la sera o gli tolgono il telefonino dalle mani – anche ai Croceristi piacciono gli avversari facili: meglio un Israele che sbraita, li mena, li chiude in camera ma non li affonda, che non una Russia inferocita pronta ad azzannarli e a sterminarli dal primo sino all’ultimo. 

Per adesso la scoraggiosa flotta è ferma all’ancora nel porto di Sidi Bou Said, Tunisia. Forse per meglio valutare i tempi in vista dell’annunciato attacco finale di Israele alla Striscia. E c’è il concreto rischio che, dilatato il priogramma, quei pochi aiuti alimentari stivati a bordo finiscano in tavola per il sostentamento delle ciurme.

Resta un interrogativo. Come interpretare tanto sguaiato chiasso pro-Pal in Occidente a fronte di tanto profondissimo silenzio in Oriente? Perché neppure una scatoletta di pessimo tonno o una tavoletta di cioccolata scadente reca la firma di un cosiddetto Paese amico? 

Al prezzo di un solo missile, l’Iran potrebbe accomodare l’intera Gaza in ristorante, i Sauditi potrebbero dargli casa nel loro sconfinato deserto, per non parlare del vicino Egitto o degli Emirati, pronti ad accogliere Indiani e Thailandesi (in maggioranza nel Paese) ma ancor più pronti nell’innalzare muri all’accostarsi di un solo Palestinese.

Eppure, mentre sin dai primi momenti dell’invasione russa, molte nazioni amiche hanno aperto le frontiere alle famiglie ucraine in fuga, nessun Paese islamico si è degnato di accogliere allo stesso modo i senzatetto in fuga dalla cruenta reazione ebraica all’invasione.

L’Egitto ha sigillato le frontiere con Gaza. Gli Stati islamici hanno bocche ed orecchie cucite. I soli aiuti umanitari, presto intercettati dagli oligarchi di Hamas, provengono dalle organizzazioni internazionali e dai Paesi «nemici». Israele incluso.  

Difficilmente i Croceristi riusciranno a sfiorare le coste palestinesi. Ma, se ciò dovesse accadere, la vera scommessa non sarà tra l’andranno fino in fondo o l’andranno a fondo, ma su chi – tra Israele ed Hamas – affonderà (o ruberà) il maggior numero di barche.

Prima di scommettere un euro, varrebbe la pena ricordare che le più numerose vittime del massacro del 7 Ottobre non furono i militari o i coloni israeliani, ma quei giovani convenuti da ogni parte del mondo per partecipare ad un rave party, proprio ai confini tra Israele e Gaza, in segno di solidarietà ed amicizia con i Palestinesi della Striscia. 

Come quella manifestazione di pace sia stata ripagata, è sotto gli occhi di tutti. E richiama alla mente alcune scene dal film «Independence Day» (1996): gruppi di giovani in festa che, mentre cantano e danzano in cima ai grattacieli, salutano con cartelli di benvenuto ed sincere dichiarazioni d’amicizia le astronavi aliene che sopra di essi stazionano, in attesa di invadere la Terra. 

Per tutta risposta, quale primo segno di pace, da una delle navicelle si apre lentamente un piccolo portello e da lì scaturisce un potentissimo raggio di luce che, istantaneamente, fulmina ogni cosa. Prima i giovani. Poi i grattacieli che li ospitavano. 


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