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Perdere l'onore

Un ministro – ma anche un parlamentare, o un magistrato, o un qualsiasi individuo investito di un alto ruolo istituzionale – ha diverse possibilità per mettere a rischio il proprio nome, la propria reputazione, il proprio onore. 

Per farlo, non è indispensabile violare col proprio comportamento il codice civile o il codice penale, ricevendone giusta condanna. È sufficiente molto meno: come ad esempio presentarsi in aula col costume di arlecchino, o indossare le larghe corna di un vistoso copricapo vichingo, o intonare a squarciagola dal podio una romanza d’opera. O anche conversare piacevolmente al telefonino dai banchi parlamentari, o leggersi tranquillamente il giornale, o lasciarsi pubblicamente andare al turpiloquio.

Non è raro che ciò accada. Non tutti i parlamentari e i ministri sono signori, non tutti brillano di specchiata onestà, non tutti parlano la nostra lingua, non tutti disdegnano l’abuso di alcol o di altre sostanze. 

Fortunatamente per noi, come già notava Trilussa, per quanto l’asino possa eccellere nel travestirsi con la pelle del leone, prima o poi gli scappa quel potentissimo raglio che indiscutibilmente ne conferma la vera natura.

Nulla di cui meravigliarsi: la perfezione non appartiene alla specie umana, condannata per i suoi peccati a lavorar col sudore della fronte (chi col proprio, chi con l’altrui) e a partorire con dolore. 

Quel che al contrario stupisce è l’inspiegabile atteggiamento delle forze di opposizione. Che anziché osservar dall’alto in basso certi loschi figuri, e gioire del fatto che essi infanghino con la loro stessa presenza la parte avversa, preferiscono indossare una compunta quanto menzognera maschera di indignazione e chiederne a gran voce le dimissioni da quelle cariche che tanto indegnamente essi ricoprono. Favorendo stupidamente in tal modo i propri avversari, che assai più di loro avrebbero interesse a ripulirsi quanto prima corpo, mani e viso da tanta sporcizia.

Un’opposizione con la coscienza a posto dovrebbe al contrario battersi perché quegli impresentabili continuino a presentarsi: certificazione vivente – visibile a chiunque – del fallimento di chi sostiene di aver spinto in alto i migliori, i più onesti e preparati, e non invece gli amici, i criminali, i venduti, gli arraffoni, i ricattatori, gli ignoranti.

«Lasciate che i leoni vengano a noi, e gli asini restino a loro», dovrebbe essere il grido di battaglia di chi è (o meglio potrebbe essere) destinato a trar vantaggio dalla manifesta asineria del nemico.  

Se solo avesse la certezza di contare tra le proprie file più leoni che asini, e fosse immune dal rischio di trovarsi un domani impastoiato nelle medesime vergogne. 

Ragione in più, per chi sa di poter anch’egli peccare, o d’averlo fatto in passato, per trattenersi dal lanciar la prima pietra.  

 

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