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Alaska!

Quel che Putin e Trump si son detti ad Anchorage, nel chiuso delle loro stanze, è un segreto destinato a restare tra loro. 

Quel che invece i due padrini han detto al mondo, nel corso del tanto atteso incontro in Alaska, sta sotto gli occhi di tutti. 

Il velenoso serpente russo è sbarcato in una terra non più sua, applaudito ospite in quella casa che fu un tempo costretto a vendere per bisogno, ma dove oggi ritorna con onori da antico padrone.

Il maiale americano lo accoglie battendo le mani come un bimbo di fronte a una caramella. Smaniando quel giocattolo che ancora non possiede: un piccolo Nobel per la Pace. Un po’ perché intuisce che potrebbe forse durare più a lungo di quell’altro suo passatempo (nutrire l’insaziabile fame di denaro tipica di chi proviene da famiglie sventurate), un po’ per umiliare l’invidiato-odiato predecessore Obama. Il quale, a differenza di chi ha ristilizzato la Casa Bianca a mo’ di bordello di quarta categoria, si gode pacifico altrove la bella moglie e la bella vita. 

Che il serpente russo si faccia beffe di lui, è apparso chiaro sin dalla scelta della location, e ancor più sull’aereo di Stato, dove ai giornalisti e ai funzionari è stato vigliaccamente servito in tavola il «pollo alla Kiev», mutando in oggetto di scherno quella che avrebbe dovuto invece essere (nelle dichiarazioni del pollo vero: quello americano), una «trattativa di pace» finalizzata al raggiungimento di un’intesa di base per un cessate il fuoco in Ucraina.

Che i due ne abbiano discusso o meno tra loro, resta un mistero. Che nulla in merito sia stato minimamente accennato nei comunicati finali, è la cruda realtà delle cose. 

A qual fine, dunque, tanto spreco di kerosene? 

Raffigurandoci i due protagonisti nella loro immonda natura animale, e provando a immaginare quale dei due nell’atto amoroso stia posizionato al di sopra e quale al di sotto, la sozza immagine che ci appare è quella di un Putin che abusa in ogni possibile modo di un Trump che gli sta sotto, per giunta legato e ammanettato.

Un Trump che pensa in tal modo di conquistarne gli ambiti favori distogliendolo dal più naturale amore di Putin per il cinesone Xi Jinping, senza i cui prodotti la sua (poca) gente non avrebbe di che vestirsi, di che abitare e di che mangiare. 

Se n’era già discusso in precedenza («Il freddo e il gelo»). 

Quando la spartizione del mondo, dopo il 1945, non fu che una gara a due (mentre un Terzo Mondo, invisibile a chiunque, soffriva la fame) vinse infine, come solitamente accade, il migliore: gli USA e non l’URSS. Ma oggi che la gara è a tre, quand’anche un migliore esistesse non per questo potrebbe disporre della forza necessaria per vincere. 

Non vincerà il migliore, stavolta. Vincerà chi per primo riuscirà a stringere alleanza con uno dei restanti contendenti.

È una strategia ben nota alle grandi famiglie mafiose: conquistare l’intero territorio, quando possibile; spartirselo, se sono due a contenderselo; stringere alleanze a danno del più debole, quando si è in tanti.

Se alla Casa Bianca sedesse un esemplare pensante della specie umana, questi non esiterebbe a tentar di riavvicinare gli USA alla Cina per contenere le spinte espansioniste dell’inutile Russia: che nulla produce, ma con estrema facilità tanto raccoglie (oro, diamanti, gas, petrolio, uranio). 

Il modello Apple (USA progetta e Cina realizza) era e resta vincente. L’illusione di poter resuscitare l’Età Industriale in una nazione come gli USA, dove è (felicemente) terminata quarant’anni or sono, riportando in patria non la grande ricchezza (Great Again!), ma grandi fatiche, basse paghe, scarsa istruzione, inquinamento, orari infiniti, dilagante miseria, è un falso obiettivo che non giova a nessuno, e mina lo sviluppo (in atto) di quei Paesi più arretrati dove l’Età Industriale è adesso al culmine o è in procinto di nascere. Inimicandoseli. 

Certo: gli USA son liberi di decidere se viver male e posare nuovamente il naso tra le scintille della mola, ma riusciranno poi a venderne il prodotto a prezzi concorrenziali senza dimezzare la qualità della vita dei loro abitanti? 

La risposta è no. Un orologio prodotto in Svizzera costa 15.000$ e non 10. Un’auto sportiva prodotta in Italia 600.000€ e non 30.000. Un vino prodotto in Francia 50€ e non 2. E così accadrebbe in USA. E pensar di tagliare le mani al resto del mondo imponendo altissimi dazi non è che è una pia illusione. Che finirà col ritorcersi contro. 

Cosa pensano di poter guadagnare gli USA corteggiando la mafia russa, che nulla produce? E non invece la Cina, interessata più di ogni altro Paese ad un futuro di pace e di sviluppo, se intende (come intende) continuare a produrre e a vendere le proprie merci?

USA e Russia insieme potrebbero forse dar vita al più grande e invincibile esercito del pianeta (a tutto vantaggio della Russia, che una vera Marina non l’ha mai posseduta, e mai la possederà). Ma gli eserciti servono solo a distruggere, non certo a costruire. 

USA e Cina, insieme, potrebbero invece dar vita a un nuovo mondo, a partire dall’Africa, relegando la primitiva Russia al più umile ruolo di pigro, svogliato, violento e maleducato benzinaio, con annesso banchetto di materie prime. Incapace di produrre persino le scarpe sulle quali cammina o una vodka degna d’esser bevuta. Ma utile, di tanto in tanto, giusto per fare il pieno alla macchina.   

    

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