È giusto, pertanto, che esista un quorum. E che sia percentualmente fissato nella maggioranza degli aventi diritto.
Quel che stupisce, a pochi giorni dalla consultazione referendaria del 9 Giugno, è che materia del contendere non è a tutt’oggi l’opportunità di contraddire o meno l’operato dei precedenti Parlamenti, depennando dai codici cinque delle normative attualmente vigenti, ma l’opportunità o meno che un quorum esista, e che esista nella misura determinata dalla Costituzione.
Da una parte come dall’altra, mai come in questa occasione emerge l’infima qualità della classe politica generata dai ripetuti rosatellum.
I favorevoli al mantenimento delle leggi tentano di piegarne il risultato invitando la cittadinanza all’astensione. I contrari gridano allo scandalo chiedendo la cancellazione del quorum o, quanto meno, l’abbassamento della percentuale.
Sono entrambi in perfetta quanto evidente malafede.
Chi è per l’astensione dovrebbe in primo luogo astenersi egli stesso da sceneggiate che offendono il ruolo istituzionale ricoperto. Non è elegante che il presidente del ramo più importante del Parlamento si intrometta in una consultazione che vede come motivo del contendere proprio il corretto legiferare di quella medesima istituzione. Ancor meno pare opportuno che un ministro del Governo, quando non addirittura il presidente di quei ministri, si esprima su una questione che in nessun modo può riguardarlo, nella sua veste di membro di un potere costituzionalmente separato dal Parlamento, e che del Parlamento è tenuto ad eseguire ogni delibera.
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Il quorum referendario ha una sua precisa ragion d’essere.
La normativa italiana prevede tre tipologie di consultazione popolare: il referendum consultivo, il referendum confermativo (Cost. #138), il referendum abrogativo (Cost., 75). Non è previsto alcun referendum propositivo, sostituito dal potere di iniziativa legislativa (Cost. #71), ossia dalla possibilità concessa a chiunque di presentare in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare, purché sostenuta da un numero precostituito di firme.
• Il referendum consultivo non è regolato da alcuna norma costituzionale, dal momento che il risultato del voto non ha effetti vincolanti per il legislatore. Si utilizza per raccogliere e misurare un’opinione, un gradimento, così come un qualsiasi sondaggio.
• Il referendum confermativo (o costituzionale) riguarda le sole leggi che modifichino la Costituzione, quand’esse non abbiano raggiunto i voti dei due terzi delle Camere, e può essere richiesto da un quinto dei membri di una Camera, da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali. Non è previsto alcun quorum, ma è sufficiente la maggioranza dei voti validi.
• Il referendum abrogativo si propone di cancellare integralmente o parzialmente una legge del Parlamento, su richiesta di cinquecentomila elettori o di cinque Consigli regionali. Solo in questa tipologia referendaria è previsto un quorum (la maggioranza degli aventi diritto, ossia il 50% degli iscritti alle liste per la Camera dei Deputati), ed è corretto che lo sia. Perché solo una maggioranza popolare può permettersi di sbugiardare una legge scritta da un Parlamento che, costituzionalmente, rappresenta (o rappresentava) una diversa (o medesima) maggioranza popolare.
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Il referendum consultivo, utilizzato per lo più a livello comunale e regionale, solo in un caso («Referendum consultivo sul mandato costituente al Parlamento europeo», 18 Giugno 1989) ha assunto dimensioni nazionali.
Quattro son stati invece i referendum confermativi e ben settantadue i referendum abrogativi, trentanove dei quali hanno ottenuto il quorum e, tra questi, ventitré han visto prevalere i «sì».
Il sistema, dunque, ha funzionato a dovere. Quando il quesito è stato ritenuto importante, l’affluenza media è stata di poco inferiore al 70%. Quando è stato ritenuto irrilevante, è rimasta al di sotto del 30%. I votanti (e i non votanti), sanno evidentemente ragionare con la loro testa, a differenza di chi quella testa amerebbe vederla provvista di redini, così da poterla indirizzare a proprio piacimento.
I prossimi cinque referendum richiameranno alle urne chiunque se ne senta coinvolto e riterrà meritorio cancellare cinque norme legislative, disconoscendo l’operato di quei Parlamenti che a loro tempo le scrissero.
Si terranno alla larga coloro che ritengono invece corrette le delibere di quei precedenti Parlamenti, ed intendono manifestare in tal modo la volontà che quelle leggi dello Stato restino in vigore. Convinti come sono che non siano affatto «sbagliate», ma piena espressione della volontà popolare.
Esattamente quella medesima volontà popolare alla quale gli abrogazionisti, nel momento stesso in cui han richiesto l’indizione dei cinque referendum, hanno liberamente scelto di appellarsi.
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