Proviamo a sciogliere lo scioglilingua.
Apriamo il giornale al mattino e leggiamo che una banda di ragazzini annoiati ha incendiato un’automobile. La mente corre preoccupata alla propria auto, o ai propri figli. Sarà ancora al sicuro là dove è stata parcheggiata? Davvero dei bimbi possono esser capaci di simili criminali stupidaggini?
La notizia crea in chi legge paura, turbamento, sdegno.
Al contrario, quel titolo dovrebbe piuttosto generare felicità, rassicurazione, serenità. Perché ogni qual volta un fatto giunge a trasformarsi in notizia – ossia in qualcosa di ragguardevole e degno di nota – ciò significa che quanto narrato è da ritenersi sotto ogni aspetto un fatto del tutto straordinario.
La vera notizia è quella che soltanto un’insignificante percentuale di ragazzini, per uno o due giorni l’anno, ama spendere i propri anni felici distruggendo i beni del prossimo, e sono invece milioni gli adolescenti che si guardan bene dal farlo. E milioni le auto che trascorrono in buona salute la notte, appisolate lungo i marciapiedi.
Ogni cattiva notizia è dunque in realtà una buona notizia.
Nessun giornale, sotto le bombe e in tempi di guerra, pubblicherebbe il racconto di un’auto distrutta e del suo autista ferito. Ma non esita a ritagliargli un angolo in prima pagina, in tempi di pace, quando quella stessa auto urta un paracarri, e chi la guida se la cava con qualche bernoccolo.
La normalità non fa notizia.
Quale miglior strumento, allora, per misurare e valutare la qualità della vita quotidiana di una città o di una nazione?
La normalità, la consuetudine, sono l’esatto contrario della notizia.
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Appurata l’eccezionalità di ogni evento che riesca a guadagnarsi un pur minimo spazio sulla stampa o in tivù, quel che stupisce è l’immensa quantità di fessi che, nell’eccezionalità delle notizie, vi legge invece la normale quotidianità. Per la gioia di quegli arruffapopoli interessati a seminare insoddisfazione, odio, paure, sgomento, per poi proporsi quali unici supereroi al mondo in grado di affrontarli.
Tra le armi più efficaci hanno dalla loro parte i cosiddetti social: quei siti web nati un tempo per discutere, non per affermare; per scambiare idee, non per imporle; per confrontarsi, non per insultarsi. In breve tempo trasformatisi in pubbliche tribune capaci di conferire dignità a qualsiasi affermazione, ad ogni indimostrata e indimostrabile tesi: dalla supremazia bianca al terrapiattismo; dalla negazione della medicina ai più fantasiosi complotti; dal facile «nossignore» agli amici all’ancor più facile «sissignore» al nemico.
Dove la notizia, ridottasi ormai al solo titolo, quando non ad una piccola immaginetta comprensibile anche agli analfabeti, è quasi sempre smaccatamente falsa. Dal «Si stava meglio quando c’era la lira» a «La NATO minaccia la Russia»; da «Ci impediscono di governare» al «I dazi faranno grande l’America». Come se pretendere il pizzo possa creare ricchezza anziché distruggerla.
È pappa per i fessi. Per chi lo è dalla nascita e per quei nuovi attualmente in via di formazione: tappando la bocca al dissenso, svalutando la scuola, chiudendo televisioni e giornali liberi, accreditando nemici immaginari.
E tuttavia, per quanto gli autocrati possano impadronirsi di ogni parola ancora da scrivere e bruciare in piazza le parole già scritte, l’uomo saggio ha da tempo imparato a leggere tra le righe: quegli spazi bianchi di cose non dette che pure raccontano molte più verità di ogni ben costruita menzogna.
Se la notizia è che l’Italia è invasa dai clandestini, la verità è che l’esecutivo non è in grado di controllare le frontiere, o ritiene opportuno non farlo; se è invece quella che la Sanità non funziona a dovere, la verità è che molte più persone di un tempo vi hanno fortunatamente accesso, e che la frammentazione regionale del servizio aumenta la disparità, la corruzione, la spesa; se è quella che il crimine dilaga, non si comprende per qual motivo non cresca di conseguenza il numero delle carceri; se è quella che il sistema dei trasporti non funziona a dovere, la verità è che il ministro preposto non è all’altezza del compito.
La verità sta sempre intorno alla notizia, non al suo interno.
Comprenderlo, migliora l’umore e la vita, mostrandoci un’ordinarietà che è per definizione l’esatto opposto della straordinarietà.
E magari, chissà, potrebbe forse porre un freno al geometrico moltiplicarsi dei diversamente intelligenti: i preferiti da ogni partito, ad ogni avvicinarsi di consultazioni elettorali.
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