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Esame di «furbità»

L’ultima trovata di chi nulla ha da dire, ma senza dir nulla rastrella followers sui social, è quella dell’«esame di nullità». O meglio sarebbe: di «furbità». 

Funziona così: dopo aver misurato col bilancino i crediti raccolti nel corso di studi, sommati al voto conseguito nelle prove scritte, il candidato all’esame (una volta) di maturità, ne contesta la stessa ragion d’essere, atteggiandosi a novello Robin Hood quando in realtà non è che il Principe dei Vigliacchi. Perché sa che, comunque vada, incasserà comunque l’agognato diploma, con in più la ciliegina di qualche rigo sui giornali. Blog inclusi! E tanto gli basterà per indossar l’armatura di un intrepido raddrizzatorti della scuola italiana del Terzo Millennio. 

Non è così. 

Il coraggio lo dimostra quel trapezista che esegue i difficili esercizi senza alcuna rete di protezione. Chi compie le medesime prodezze, ma con la rete ben tesa sotto le chiappe, non mostra alcun apprezzabile coraggio, ma giusto una particolare abilità. 

Così hanno agito i supereroi col salvagente, sprezzanti in faccia alla commissione d’esame, ma ben protetti da quel medesimo sistema scolastico che con incerte parole contestano. 

Se la prova d’esame fosse stata congegnata per misurare l’effettiva maturità del candidato, il voto finale sarebbe stato zero su zero. Ma s’è trattato forse di valutar piuttosto l’italica furbizia (la «furbità»), ossia la capacità di stare alla pari con quei Totò e quegli Alberto Sordi dai quali gli Italiani del dopoguerra, provvidenzialmente rispecchiandosi e ridendo di se stessi, si sforzavano di prendere le distanze, per migliorarsi. Come in effetti accadde.

Oggi, evidentemente, quella «furbità», fatta di atteggiamenti tra l’infruttuoso e il criminogeno, non è più oggetto di scherno ma titolo di merito, in grado di spianare la strada verso le più alte cariche e istituzioni pubbliche e private. Un tuvvoifàlamericano alla rovescia, in tempi in cui persino gli Americani paiono voler fare gli Italiani (alla Totò).  

Potrà mai la «furbità» sostituirsi alla maturità? 

Forse sì, dapprincipio, quando chi (non) parla coglie di sorpresa chi ascolta. Ma non sulla media e lunga distanza. Quando colui che già in partenza mostra di non aver nulla da dire (insinuando tuttavia il dubbio che volutamente taccia un più vasto sapere) non potrà che confermare l’entità del nulla che gli alleggerisce il cranio, segno di indigerite esperienze e di studi mal compiuti. 

Eppure, proprio quegli Italiani che seppero a loro tempo correggersi e volgere la «furbità» in creatività, dovrebbero esser i primi a sgamare chi tenta di vender loro la Fontana di Trevi, quand’anche travestita da Make Italy Great Again

O servirebbe forse un briciolo di maturità? 

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